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martedì 8 dicembre 2009

A qualcuno piace uomo! La vita non facile dei transgender italiani

A qualcuno piace uomo! La vita non facile dei transgender italiani

Li incontri per strada, al bar, nel centro commerciale, ogni tanto uno te lo ritrovi accanto sull’autobus. Ci sono anche italiani/e, ma la maggior parte di loro viene da Paesi lontani dal nostro: ci sono i sudamericani/e, i brasiliani/e, i colombiani/e. Sono i trans e le trans d’Italia che entrano silenziosi nel fluire della tua vita e cominciano a fare shopping, uscire a cena piuttosto che in discoteca, comprare nei supermercati. Generalmente si chiamano transessuali, ma loro amano definirsi transgender. Dovrebbero essere cittadini come gli altri ma non lo sono. Di loro spesso conosciamo il lato più oscuro, quello di un “integrazione difficile” che crea scompiglio e fa notizia sulle pagine dei giornali. Soprattutto quando diventano i protagonisti dell’ennesimo scandalo politico-giudiziario. Come è stato per via Gradoli. Il caso Marrazzo che improvvisamente ha acceso i fari dell’informazione , e dello scandalo in salsa emotiva tutta italiana. Perché tutti si lanciano sullo scoop, tutti si improvvisano esperti o tuttologhi di questo mondo sommerso che in realtà nasconde ben altre sfaccettature. Molte della quali di “normale” difficoltà quotidiane.
Senza la pretesa di esaurire in todo la complessità di un mondo, quello degli uomini (e delle donne!) transgender che da qualche tempo è salito agli “onori” della cronaca, cercheremo quantomeno di chiarire qualche concetto. Che si spera interessante. Innanzitutto, trattandosi di trans-izione da un genere all’altro, occorre sapere che il mondo transessuale riguarda entrambi i sessi. Nel senso che esistono transessuali che da uomo “transitano” a donne (in acronimo MtF cioè man to female) e trans che passano da femmine a uomo (FtM, female to man). Quindi, anche per una forma di rispetto verso chi, fino a prova contraria, è libero di disporre del proprio corpo come meglio crede, l’articolo da usare fa la differenza perché non si tratta solo di un dettaglio grammaticale. Ecco perché, se proprio si vuol esser precisi fino in fondo, nel caso di transgender MtF i termini transgender/transessuale vanno declinati al femminile (UNA donna transessuale). Mentre - al contrario - nel caso di FtM i termini transgender/transessuale andranno declinati al maschile (cioè un UOMO transessuale). E’ facile fare confusione tra il femminile e il maschile. Ma questa è la regola. Altro mito da sfatare è l’associazione trans uguale prostituzione. I trans in Italia (sia uomini che donne) secondo alcune stime sarebbero circa 15-20 mila. Ma solo una piccolissima parte si prostituisce. Il motivo? Se l’equazione è trans sta a trasgressivo come sesso sta a prostituzione, il risultato sono porte chiuse in faccia, zero dignità e discriminazione. Sia in ambito lavorativo che sociale. Perfino il datore di lavoro più “openmind” troverebbe più di qualche difficoltà davanti al dubbio di fronte a una lei/lui di cui si fa “fatica a comprendere” Perchè “essere” trans significa sbattere la testa con il rifiuto totale, non avere i documenti a posto in accordo con ciò che si sente di essere. Questo perché lo stigma sociale diventa più forte di ogni motivazione e autodeterminazione. “Il terzo sesso” spaventa troppo (o attira e non lo si può dire in giro?), è contrario al “buon costume”, quasi che il timbro della voce dica più cose di quelle che un corpo ( e una cervello) possa svelare in seguito. “Indistinguibili” i trans e le trans d’Italia sono confusi/e con i travestiti (uomini che si vestono da donne), con gli ermafroditi e con gli omosessuali (possono esserci invece sia trans etero che omosessuali ossia persone che dopo l’operazione per cambiar sesso sono attratte da persone dello stesso (nuovo) sesso). Tutto finisce nel frullatore mediatico sotto l’aggettivo “diversi” e/o perversi. Salvo poi glissare sulle tante aggressioni che al di fuori del ” Grande Fratello” o dell’Isola dei Famosi” si consumano percorrendo trasversalmente da Nord a Sud il “Bel Paese”. Esclusi dalla legge sull’omofobia, costretti a vivere in monolocali da 45 metri a 700-900 euro al mese (perché non bisogna sapere di averli/e nel condominio però fa comodo “imporre” il prezzo alto del “disagio”, soprattutto se a nero dal fisco), quelli che “campano” alla meglio li trovi sulla Salaria e sulla Colombo a Roma, nascosti alle pattuglie dietro un cespuglio. O sulla Tiburtina, sulla Casilina e Prenestina, sulla Salaria e nei dintorni della stazione Termini. A sfidare le ordinanze anti prostituzione, gli zingari ubriachi e qualche figlio “bene” che con la macchinona di papà si sente autorizzato a insultare e provocare. Come se ci si trovasse di fronte a fenomeni da circo. E’ lo stigma che spinge a prostituirsi lo ricordiamo. Quelle labbra gonfie e quei muscoli aspetteranno li, ignorando la tristezza di una vita quotidiana lontano dalle proprie famiglie, dalla loro doppia vita, da un’identità di genere che, sebbene trans, nasconde ben altro che una “prestazione” consumata dietro un cespuglio.

Daniele Memola

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