
Quando
le mie figlie erano piccole, amavano
ascoltare le fiabe e guardare i cartoni animati, come tutti i bambini.
Impazzivano quando raccontavo loro la storiella di Giovannin
senza paura, che Italo Calvino ha raccolto in Fiabe italiane. Penso che molti la conoscano. Racconta di un
ragazzino che non aveva paura di nulla e che accettò di passare la notte in un
palazzo abbandonato da cui nessuno era mai uscito vivo. La notte trascorse
senza che Giovannino cedesse allo spavento provocato da una serie di eventi,
fra cui la caduta di gambe e braccia dal camino, la vista di un uomo senza
testa e l’incontro con la compagnia della bara. Le mie bimbe si appiccicavano a
me come sanguisughe, si nascondevano sotto una coperta e squittivano. Era
esilarante vedere come reagivano alle mie parole, ai miei bruschi movimenti e
ai versacci con cui simulavo svariati pericoli alle nostre spalle. Risparmiavo
loro il finale. A che pro sapere che Giovannino, scampato alla paura, morì
comunque di paura dopo avere visto la propria ombra? Il risultato è che ho tre
figlie coraggiose.
Paura e coraggio sono due elementi essenziali per
comprendere l’Italia di oggi. Aldilà di ogni considerazione e analisi sulla
terribile situazione che sta paralizzando la nostra patria, rendendola
irriconoscibile non solo agli occhi del mondo ma soprattutto ai nostri, credo
si possa affermare che di tutti i mali che soffriamo, il peggiore è la paura.
Cos’è e cosa la determina? È semplicemente una intensa emozione dettata dalla
percezione di un pericolo, reale o immaginario. Di fatto, la paura altro non è
se una reazione neurochimica. Ne è responsabile l’amigdala, quella parte del
cervello che gestisce le emozioni. Fra le reazioni del sistema limbico del
cervello c’è la produzione dell’ormone noto come adrenalina o epinefrina. Studi
recenti avrebbero individuato in una proteina chiamata beta-catenina la base
chimica della paura. Può darsi, ma aldilà delle argomentazioni scientifiche,
del sapere i come e i perché, è evidente che la paura è il vero nemico di un essere
umano, il pericolo pubblico numero uno. Avere paura è la causa primaria dei
nostri mali, dei nostri fallimenti, della nostra infelicità.
Il problema è che
oggi abbiamo tutti paura e perciò dovremmo ricordarci delle parole di Paolo
Borsellino: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta
sola”. Parole, a dire il vero, la cui paternità risale a Giulio Cesare, un
impavido convinto che “i paurosi muoiono mille volte prima della loro morte, ma
l’uomo di coraggio non assapora la morte che una volta sola”. La verità è che
non abbiamo paura di morire, oggi abbiamo paura di non farcela, di fallire, di
assistere impotenti al crollo delle nostre sicurezze e non solo economiche. Il
problema è che viviamo in una società che ha ucciso la fiducia, la speranza,
l’intraprendenza, la creatività, i valori. Abbiamo paura di uno Stato che
assomiglia sempre più a un orco e di un sistema di vita sempre più cinico e
incomprensibile. Abbiamo paura del futuro perché non vediamo prospettive, non
crediamo più nelle parole vuote dei politici, non ci riconosciamo più in un
sistema che fagocita le risorse, misconosce il merito, procede per forza
d’inerzia verso il baratro. È normale avere paura in Italia. Altrove non è
così. In altre nazioni si fa fatica ma si procede senza paura verso la
soluzione dei problemi. Noi siamo ingessati, paralizzati, terrorizzati da una
pressione fiscale abnorme, da una mancanza di idee e forse di volontà. E come
se fossimo sotto l’incantesimo di una strega cattiva. Gautama Buddha ammoniva
che vivere nella paura significa non vivere. Difatti, abbiamo smesso di vivere,
in questo momento sopravviviamo. Se consideriamo la percentuale in costante
crescita dei poveri e dei disoccupati, ma anche i numeri del flusso migratorio
e i dati delle delinquenza, non possiamo fare a meno di ribadire che per tanta
gente la vita si è trasformata in una lotta per la sopravvivenza.
Non serve che
mi chieda perché e di chi è la colpa. La risposta è complessa ma fin troppo
facile. Voglio invece considerare che la paura non è una maledizione di cui non
possiamo liberarci e che abbiamo una via di uscita: smettere di avere paura. È
ciò che disse il Presidente Franklin D. Roosevelt alla nazione americana nel
suo discorso inaugurale del 4 marzo 1933. “Sono convinto che se qualcosa di cui
dobbiamo avere paura è la paura stessa”. Gli Stati Uniti d’America erano ancora
sotto gli effetti del crollo finanziario del 1929 e Roosevelt fu colui che con
la politica dei “cento giorni” e una serie di leggi e decreti fece uscire il
popolo americano dalla “grande depressione”. Avremmo bisogno di un Roosevelt,
ma non ne vedo in giro. Ergo, dobbiamo fare da soli. Non possiamo illuderci di
abbattere il Moloch le cui tenaglie fiscali, burocratiche e politiche ci stanno
letteralmente facendo a pezzi, né pensare di guarire un Paese allo sbando anche
dal punto di vista morale e culturale con un colpo di bacchetta magica. Ci
vorranno due generazioni per risollevarci. Pur tuttavia, noi dobbiamo
cominciare subito e la priorità è cambiare ciò che abbiamo la facoltà di
cambiare, ossia noi stessi. Ecco perché ci serve vincere la paura, il che comporta
toglierci di dosso la tristezza, l’inedia e l’indifferenza oltre che i tanti timori
che ci attanagliano. Occorre smettere di avere paura del domani e smettere di
piangerci addosso, per quanto la cosa sia giustificabile almeno quanto la
rabbia e la voglia di spaccare tutto. Voglio scoprire un altarino. Quando ero
piccolo avevo paura del buio ma non accettavo l’idea che la paura fosse più
forte di me. In estate, andavo in villeggiatura in un’antica e grande dimora di
campagna dotata di sotterranei e piena di rumori notturni. Temevo fosse
infestata dai fantasmi. In realtà, i rumori che sentivo erano provocati dai
topi nei solai. Un giorno, decisi di vincere la mia paura. Cosa feci? È
semplice, mi alzai nel cuore della notte e senza accendere la luce, armato di
una candela, vagai da solo per le immense stanze e i corridoi della casa. Da
quel giorno smisi di avere paura dei fantasmi, dei topi e del buio. Credo di
avere smesso di avere paura di qualsiasi cosa e chi mi conosce sa che sono una
sorta di braveheart. Se sono diventato temerario è perché ho vinto la mia paura
ricorrendo al sistema più vecchio del mondo. A questo punto chi mi legge si
domanderà di che si tratta.
Canta che ti passa la paura, suggerisce un vecchio
brano musicale del 1965, interpretato da Giorgio Gaber. Magari bastasse! No, il
trucco è un altro. Fai sempre quello che hai paura di fare. È questa la mia
regola, da quando avevo sei anni. L’ho applicata per buona parte della vita,
compresi i tre mesi all’insegna della follia che ho trascorso in Afghanistan. Non
dobbiamo avere paura, soprattutto della nostra ombra. Ciò che ci serve, ora più
che mai, è seguire i passi dei nostri padri e dei nostri nonni. In molte
famiglie, chi ci ha preceduto ha conosciuto gli orrori della guerra e la
miseria. Ha conosciuto la paura ma ha saputo vincerla e gettare le basi di una
vita migliore. Ci ha indicato la via da seguire.
www.giuseppebresciani.com
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