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domenica 21 gennaio 2007

Ha dato oro per Artù, lo Hobbit, Diana chiude la miniera delle leggende

LONDRA - Era la miniera d'oro più famosa e più antica del Galles: ispiratrice di leggende, come quella di re Artù e del mago Merlino, di romanzi, lo "Hobbit" di J. R. R. Tolkien, per secoli fornitrice del metallo pregiato con cui venivano forgiate le fedi nuziali della famiglia reale, l'ultima quella della principessa Diana per l'infausto matrimonio con il principe Carlo.
Da tempo non produceva più pepite grosse come patate, dalle sue viscere uscivano soltanto lucenti pagliuzze, ma adesso ha chiuso i battenti per sempre: l'oro è praticamente finito. E' un pezzo di storia, e di mitologia, che scompare, dopo qualcosa come duemila anni di sfruttamento del sottosuolo.
Ad accorgersi della presenza dell'oro nelle acque del Mawddach, il fiume che scende dalle pendici del monte Snowdon, in Galles, furono per prime le tribù celtiche che nell'antichità popolavano quella regione. Un po' più tardi, i monili che i celti fabbricavano con quel materiale per le loro donne attirò l'attenzione di un potente invasore, l'esercito dell'imperatore romano Claudio e quindi di Vespasiano.
Proprio quest'ultimo fece del monte Snowdon la riserva aurea principale di Roma, dopo l'esaurimento di quelle sfruttate in precedenza da Augusto sui monti Cantabrici in Iberia, l'odierna Spagna.
Dopo il crollo dell'impero romano, nel Medio Evo la miniera continuò a funzionare, alimentata alternativamente da due popoli in guerra, celti e sassoni.
Nacquero in quel periodo anche leggende destinate a non essere mai più dimeticate, come quella di Merlino, un fanciullo orfano, destinato a diventare un famoso mago dallo stesso nome, che avrebbe rivelato ai guerrieri del suo tempo il mistero di cosa si nascondeva sotto le fondamenta delle torri di guardia edificate sul monte Snowdon; e di re Artù, che avrebbe combattuto e infine sarebbe morto da quelle parti. Nel 1856, per costuire una nuova strada d'accesso alla miniera, venne fatto defluire il corso del Mawddach, e dalle acque del fiume riemerse una canoa di legno antichissima in cui alcuni videro la conferma della leggenda secondo cui il corpo di Artù morente fu trasportato su una zattera da Morgana e altre tre fate.
Si dice che dalla miniera del monte Snowdon provenisse l'oro con cui fu confezionata la fede nuziale della consorte di Artù, la regina Ginevra; così come di lì è uscito, secoli dopo, l'oro per la fede della principessa Diana.
Ma da tempo dalla Gwynfyni Mines Royal, questa la denominazione ufficiale della miniera, non usciva quasi più niente, così i proprietari della miniera hanno infine deciso di chiuderla. In questo luogo in cui, contrariamente al celebre detto, tutto quel che luccica era oro, ora rimangono soltanto macchinari arruggini e mobili sigillati in container.
Resta anche il mito, naturalmente: lo scrittore J. R. R. Tolkien ambientò nelle viscere della miniera gallese, ribattezzata il "Monte Solitario", il drago Smog, custode del tesoro destinato ad essere rubato da Bilbo Boggins, nel suo immortale romanzo "The hobbit".
E rimane la leggenda di re Artù, che secondo alcuni cantastorie del Galles vive ancora là sotto, nelle caverne dello Snowdon, insieme ai cavalieri della Tavola Rotonda. Si narra che un giorno un ragazzo in cerca di legno per fare un bastone sradicò un albero e vi trovò sotto qualche pagliuzza d'oro: allora si accorse che sotto le radici c'era una caverna, e nella caverna c'erano re Artù e i suoi cavalieri.
"La Britannia è in pericolo?", domandò il re al giovane, destandosi. "No, sire, tutto tranquillo", rispose il ragazzo. Allora Artù riprese il suo sonno millenario, in attesa che il suo Paese avesse di nuovo bisogno di lui.
Ma ora che l'oro è esaurito e la miniera chiusa, nessun ragazzo potrà mai più trovare la caverna. Il sonno di Artù è destinato a durare in eterno. Se la Britannia fosse di nuovo in pericolo, per salvarsi dovrebbe cercare altri eroi e altre leggende.

Di Enrico Franceschini

Fonte: La Repubblica

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