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mercoledì 10 gennaio 2007

L'Europa a tavola con il Corano. E' boom della cucina "halal"

Sempre più diffusi i cibi "ammessi" dal testo sacro islamico: +15% in un anno

Da precetto religioso è già un business con un giro d'affari da 15 miliardi di euro

di ALBERTO D'ARGENIO

(Masterworld.org/news) BRUXELLES - "La produzione alimentare di oggi rende difficile capire cosa finisce nei cibi che consumiamo. Certo, l'etichettatura aiuta, ma non tutto è comprensibile: sappiamo che non dobbiamo mangiare maiale, alcol o gelatina, ma come la mettiamo con l'ergocalciferolo o con il glyceryl stearate?". Benvenuti nell'universo della cucina halal: siti internet, fast food e negozi specializzati nella vendita di alimenti permessi dalla legge islamica.

Un dettame religioso che in Europa si è ormai trasformato in un vero e proprio brand di enorme successo. Halal a tavola, ovvero, tradotto dall'arabo, ciò che è "lecito" mangiare secondo il Corano. E per i musulmani europei a volte è difficile evitare ingredienti haram, "impuri", come grassi animali e prodotti derivati dal maiale: biscotti, caramelle, yogurt e succhi di frutta i classici alimenti a trabocchetto. E i rischi non si corrono solo a pranzo, ma anche in farmacia o dall'estetista.

Ecco perché i prodotti halal vanno a ruba, con cifre da far impallidire qualsiasi altro settore commerciale: nel 2003 il mercato europeo dei prodotti "leciti" ha fatturato circa 15 miliardi di euro. Commentano i sociologi belgi: "È uno dei settori più promettenti a livello planetario", anche perché dal 1998 vanta un incremento annuo del 15%. La Francia è la piazza più fiorente per la vendita di cibo, medicine e cosmetici halal, ma Gran Bretagna, Belgio e Germania non hanno nulla da invidiarle. E così fioriscono mercatini e negozi, supermercati e macellerie specializzate, fast food e siti internet dove ordinare carni e salumi prodotti nell'est europeo "con tecnologia e ricetta italiana" ma rigorosamente halal. E a livello globale si parla di guadagni costantemente in crescita che ormai sfiorano i 150 miliardi di dollari l'anno.

"Come Dio vuole, io mangio halal ogni volta che posso", spiega una giovane studentessa universitaria belga di origine magrebina. "È più sano e più facile da digerire", le fa eco un uomo di mezza età convertito all'Islam da una decina d'anni. E così quello che ormai è stato ribattezzato "halam business" cresce. Si moltiplicano guide online in cui trovare un buon ristorante a norma di Corano in qualsiasi Paese del mondo, o in cui studiare i marchi di garanzia più affidabili. Si adeguano le catene di ristorazione e le grandi case alimentari, creando linee di prodotti halal con tanto di marketing specifico. Una tendenza inarrestabile perché ad aumentare non sono solo i clienti, ma anche i cibi richiesti.

In Francia, ad esempio, i giovani islamici tendono a seguire le mode culinarie dei coetanei non musulmani, ma spesso sono messi fuori gioco dagli alimenti impuri contenuti nei piatti più gettonati: e così nel 2005 sono nate pizza e lasagne halal. In Belgio le scuole e gli ospedali dei quartieri a maggiore densità di immigrati musulmani servono piatti privi di ingredienti haram.

Ma naturalmente ci sono anche i problemi. Il primo, e più sentito dai consumatori, è quello della certificazione, sanitaria e religiosa. Non in tutti i paesi europei c'è un sistema di etichettatura affidabile sull'autenticità del cibo halal. Come in Belgio, dove secondo un'indagine dell'Università di Gand sono gli stessi consumatori musulmani a chiedere regole chiare: un intervistato su quattro si preoccupa per l'assenza d'informazione e di controllo, mentre uno su tre per la mancanza di igiene. Ammette un grossista di Bruxelles: "Senza una definizione unica del certificato halal lasciamo spazio a ogni genere di abuso". Ma intanto l'halal economy ha ormai creato un inarrestabile brand di successo.


Origine: Repubblica

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