IL 25 APRILE FESTA DELLA LIBERAZIONE
TRA POLEMICHE ED ANTICHI RANCORI
di: Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco
Napoli, 25/04/08. Ogni anno nell'avvicinarsi della scadenza del 25 Aprile, Marcello Veneziani, giornalista di destra, riapre dalle pagine di Libero il giornale di Feltri, la solita polemica sulla Festa della liberazione.
Le motivazioni le conosciamo a memoria, perché sono sempre le stesse: il 25 Aprile non c'è nulla da festeggiare perché è stato l'atto finale di una guerra civile sanguinosa e drammatica che ha visto la sconfitta dei fascisti e la vittoria dei social - comunisti che poi hanno consegnato il nostro paese agli americani in rispetto degli accordi di Yalta.
La teoria della guerra civile permette di far passare gli orrendi misfatti perpetrati dai fascisti e dai nazisti, come episodi drammatici di una guerra combattuta da una parte e dall'altra senza quartiere e senza pietà. A corredo di queste posizioni si tiene a ricordare le immagini drammatiche di Piazzale Loreto in cui i corpi di Mussolini e della Petacci e di altri tre gerarchi fascisti furono appesi per i piedi in modo che tutti potessero vederli. Una immagine drammatica e difficilmente comprensibile, se astratta dal contesto in cui quegli avvenimenti avvenivano.
La teoria revisionista sul 25 Aprile, si fa forte del luogo comune che il fascismo era ben voluto dagli italiani e fino al 1938 l'adesione del popolo italiano a quel regime era totale e solo la sconfitta della guerra aveva rotto quella forte unione.
Ancora oggi, dopo 63 anni da quel lontano 25 Aprile del 1945, dobbiamo ricordare il lungo cammino del popolo italiano verso la libertà e la democrazia.
Sin dall'inizio il fascismo è stato un movimento violento in cui squadre di teppisti in camicia nera terrorizzavano con le loro incursioni le popolazioni pacifiche delle campagne e delle città.
Le distruzioni delle Camere del lavoro. Delle sedi dei partiti democratici, e dei loro giornali; le aggressioni e le uccisioni di migliaia di attivisti politici, di intellettuali e di sindacalisti, hanno lasciato una lunga traccia di sangue che ha accompagnato il fascismo nei suoi venti anni di regime.
Non era guerra civile l'uccisione di Giacomo Matteotti. Di Giovanni Amendola, di Piero Gobetti, di Don Minzoni e dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, non era guerra civile le migliaia di sentenze del Tribunale Speciale che incarcerava gli oppositori del fascismo lasciandoli morire in carcere come Antonio Gramsci.
Non era guerra civile l'esilio di Parri, Turati e Pertini. Non erano giuste le leggi razziali, non era uns guerra civile l'occupazione di un esercito straniero nel nostro paese, che ordinava ed eseguiva 323 condanne a morte per rappresaglia, lasciando un monumento di dolore alle Fosse Ardeatine.
I massacri di civili inermi di Stazzona e Marzabotto, il campo di concentramento sistemato nella risiera di San Saba a Trieste dove funzionava l'orribile forno crematorio, non sono episodi di guerra civile; sono atti di una barbarie disumana con la quale si tentava di tenere sotto dominio un popolo che aveva trovato la strada della libertà e non era intenzionato a lasciarla mai più.
Gli scioperi del Marzo 1943 pagati con il campo di concentramento e la morte da parte di chi li aveva organizzati, sono la testimonianza di un coraggio umano e politico che dimostra quanta poca adesione aveva il regime tra le masse popolari.
Il 25 Aprile è il giorno in cui si compiono gli atti finali di una lunga battaglia in cui il popolo italiano si riconosce, muore e vince per la causa della libertà.
Questo nessuno ce lo potrà togliere.
Sappiamo bene come il prossimo Presidente del Consiglio intende
Noi pensiamo sia giusto stringerci attorno al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che con parole serene e ferme ha rivendicato al Paese l'orgoglio del proprio riscatto, per avere conquistato per la seconda volta la sua indipendenza e la sua libertà.
Il ricordo di quel periodo doloroso e difficile che ha permesso di costruire le istituzioni repubblicane e democratiche in cui sono maturate le condizioni di ripresa economica e di sviluppo che ha portato il nostro paese ad essere uno tra i più importanti e ricchi del mondo.
Da quelle giornate tremende e piene di speranza di 63 anni fa l'Italia si è profondamente trasformata. Il paese povero ed agricolo di allora è diventato una realtà europea ed internazionale che vive le contraddizioni della attuale fase di trasformazione, ma saldamente ancorata a principi di democrazia, libertà e sviluppo.
Il 25 Aprile è una festa e siamo contenti che lo sia.
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