L'inflazione frena, ma i consumi non ripartono. Anzi, le vendite di prodotti alimentari sono crollate dall'inizio dell'anno dell'1,8 per cento in quantità e del 3,7 per cento in valore. E ora l'aumento dell'Iva dal 21 al 22 per cento, scattato il primo ottobre, non farà che rendere tutto più difficile per famiglie e imprese. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, in merito ai dati Istat sui prezzi al consumo che a settembre hanno segnato +0,9 per cento, il valore più basso dall'ottobre 2009.
Il rallentamento della corsa dei prezzi, a cui ha contribuito anche l'agricoltura con il forte ribasso congiunturale dei listini della frutta fresca (-4,8 per cento), non ha modificato in nessun modo la situazione sul fronte dei consumi, tanto meno di quelli per la tavola -spiega la Cia-. Nonostante il moltiplicarsi di promozioni e offerte speciali nella Gdo, con oltre un quarto dei prodotti sugli scaffali "a sconto", il 71 per cento delle famiglie (16 milioni) continua a tagliare sul cibo. Mentre sale spaventosamente il ricorso agli hard-discount, l'estremo avamposto del "low-cost": dall'inizio della crisi, infatti, la quota di famiglie che acquista in questo tipo di esercizio commerciale è praticamente raddoppiata, superando oggi il 20 per cento.
In uno scenario del genere, l'aumento dell'Iva non può che peggiorare ulteriormente la condizione delle famiglie, riportando in alto l'inflazione -sottolinea la Cia-. L'innalzamento dell'aliquota coinvolge il 60 per cento dei consumi, con ricadute economiche per le famiglie comprese tra i 200 e i 300 euro l'anno. Senza contare gli effetti per negozi ed esercizi professionali, con oltre 25 mila piccole imprese a rischio chiusura. Per questo bisogna fare il possibile per cancellare l'aumento dell'Iva: le famiglie e le imprese hanno bisogno di un segnale di fiducia.



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