I GIUDICI DELLA CORTE DI CASSAZIONE SI PRONUNCIANO CONTRO L'INSULTO SULLE DONNE
di Lopreiato Antonella
Care donne cosa direste ad un uomo quando vi insulta e vi ricorda di essere una donna meno forte e meno competente a lavoro o nella vita? In teoria pensate che non si può far nulla per difenderVi soprattutto a lavoro con un dirigente di parte come il vostro. Errato! Oggi con una sentenza della Corte di Cassazione dire "è meglio un uomo che una donna è reato" soprattutto perché la donna ha uguali diritti dell'uomo perciò frenatevi uomini, prima di offendere e di insultare costantemente o buttare giù solo un insulto su una donna perché per voi potrebbe essere rischioso poiché insultare una donna è reato penale. In tal caso ella potrebbe sia denunciare il caso che richiedere di diritto un cospicuo risarcimento. Le critiche nei confronti della donna, riferite in special modo al dato biologico sono lesive della dignità della persona e si pagano con giusta condanna penale e risarcimento dei danni. La corte di Cassazione ha ritenuto di confermare la sentenza pronunciata nel 2009 su un caso in cui una direttrice ha denunciato un giornalista e un sindacalista in seguito ad un articolo pubblicato sul quotidiano locale di Caserta che annunciava già di per sé un titolo offensivo: "Carcere: per dirigerlo serve un uomo" e un testo prevalentemente ancorato all'immagine della donna come dirigente poiché intuiva una certa incompetenza della responsabile nel gestire un carcere per le condizioni strutturali dell'edificio. Riportiamo dunque quanto afferma la Corte di Cassazione in merito alla sentenza 10164. "I giudici di merito hanno ritenuto che la frase 'sarebbe meglio una gestione al maschile', attribuita al sindacalista, e' oggettivamente diffamatoria ed e', da sola, idonea ad affermare la responsabilita' sia dell'intervistato che dell'intervistatore''. La Cassazione aggiunge che ''si tratta di una dichiarazione certamente lesiva della reputazione della direttrice del carcere trattandosi di un riferimento assolutamente gratuito, sganciato dai fatti, e che costituisce una mera valutazione, ripresa a caratteri cubitali nel titolo, nel quale si puntualizza proprio la necessita' (sottolineata dal verbo servire) di affidare la direzione del carcere, comunque, ad un uomo''. ''In sostanza, la critica che viene mossa alla direttrice - continua la Cassazione - e' sganciata da ogni dato gestionale ed e' riferita al solo fatto di essere una donna, gratuito apprezzamento contrario alla dignita' della persona perche' ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell'appartenenza all'uno o all'altro sesso''.
Nel contesto il caso che ha fatto generare il ricorso sii giornali è stato quello scatenato dai detenuti del carcere di Arienzo (Caserta) che avevano scritto una lettera per denunciare le condizioni inefficienti e denigranti dell'edificio così il giornalista insieme ad un politico hanno denunciato il fatto ma le contestazioni sono risultate inefficienti poiché non è stato dimostrato nulla di quello che è stato affermato così la direttrice ha avuto la meglio con un risarcimento danni di 7000 euro e una riparazione pecuniaria di 3500 euro per la condanna di diffamazione.
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