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lunedì 26 febbraio 2007

CRIMINI E POLITICA

CRIMINI E POLITICA

Secondo statistiche ufficiali, ogni anno in Italia verrebbero commesse molte centinaia di migliaia di violazioni della legge (ovviamente si tratta dei reati formalmente denunciati e accertati), che vanno dalle piccole infrazioni del codice penale ai reati più gravi quali usura, estorsioni, rapine, sequestri di persona, sfruttamento e riduzione in schiavitù, omicidi, e via discorrendo.
Nel contempo le carceri italiane, già sovraffollate, hanno spazi assai carenti e limitati, per cui non riescono ad ospitare i violatori della legge che in pratica restano impuniti. In tale situazione sono i grandi criminali che riescono a beneficiare delle enormi lacune del sistema carcerario italiano. Non è un problema di sedi penitenziarie, di luoghi fisici di detenzione, altrimenti basterebbe costruire nuove strutture carcerarie per risolvere la questione. A riguardo penso che sarebbe meglio investire la spesa sociale nella costruzione di moderni e attrezzati alloggi, scuole e ospedali, per rispondere alle drammatiche istanze sociali derivanti dalla crisi abitativa, dalla questione scolastico-educativa e dall'emergenza sanitaria.
L'azione dei governi in materia di criminalità si riduce a periodiche e provvisorie strategie di repressione poliziesca (si pensi, ad esempio, al blitz compiuto alcuni anni fa a Scampia, il "famigerato" quartiere di Napoli) che sono sempre pilotate e condizionate da interessi e meccanismi di ricerca del consenso popolare, strategie che presuppongono e richiedono un ruolo decisivo legato all'esercizio dell'informazione quotidiana di massa.
In tal senso, i più importanti mass-media nazionali, network televisivi in testa, tendono a promuovere periodicamente vaste campagne di informazione propagandistica che rendono di "moda" alcuni tipi di reati.
Non è un discorso aberrante o delirante perché, di fatto, si tratta proprio di "mode", ossia di un sistema di amplificazione e di esaltazione del crimine mediante forme subdole e striscianti di comunicazione, cioé attraverso meccanismi pubblicitari capillari che agiscono sul piano inconscio e subliminale, alla stessa stregua dei messaggi della pubblicità commerciale che ormai ci bombarda continuamente, e ossessivamente, in TV, alla radio, sulla stampa, su Internet, sui telefoni cellulari, insomma dappertutto, in ogni momento della nostra giornata.
Alcuni decenni fa, ad esempio, ci fu la "moda" del brigatismo. Infatti, i mass-media fecero da potente cassa di risonanza rispetto ad un fenomeno solo apparentemente eversivo e destabilizzante, ma che in effetti servì a stabilizzare e a rafforzare il sistema vigente, nel senso che gli attentati brigatisti, come altri crimini terroristici (si pensi alle stragi neofasciste, da Piazza Fontana nel 1969, alla stazione di Bologna nel 1980), furono tante occasioni utilizzate per legittimare e suscitare l'invocazione di leggi punitive speciali, che furono poi effettivamente varate dallo Stato. Una legislazione d'emergenza che è rimasta in vigore troppo a lungo, non tanto per vincere le organizzazioni terroristiche e contrastare i delitti da cui sembrava scaturire la sua ragion d'essere, quanto invece per criminalizzare e bloccare l'ascesa di massicci movimenti di lotta sorti alla fine degli anni Sessanta. Anni in cui si costituì un blocco sociale retto sull'alleanza tra studenti e operai, un connubio che inquietava non poco il potere politico-sociale ed economico della borghesia italiana più reazionaria, che non a caso si servì della "strategia della tensione" per insanguinare le piazze italiane durante gli anni Settanta, così come la borghesia agraria e capitalista degli anni Venti si servì dello squadrismo fascista per impedire gli scioperi dei contadini e degli operai e per frenare l'ascesa rivoluzionaria del proletariato. L'avvento del regime di Mussolini completò l'opera oltranzista e repressiva contro le masse popolari italiane, fino alla tragedia della seconda guerra mondiale. La resistenza antifascista fu la naturale, inevitabile conseguenza di tali avvenimenti.
Successivamente, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni '80, con l'esplosione del fenomeno "hooligans", importato dalla Gran Bretagna, la società italiana ha dovuto sopportare nuove campagne tese a promuovere i delitti connessi al teppismo negli stadi di calcio, un problema ancora caldo, sempre attuale e presente nel proscenio nazionale, un tema a cui sarebbe opportuno dedicare una trattazione più adeguata e approfondita.
In altre fasi si è assistito a campagne di informazione, ma sarebbe meglio chiamarle di disinformazione, che enfatizzavano e privilegiavano il fenomeno dei sequestri di persona, ad esempio in Aspromonte. Non a caso, ci fu subito qualche "eminente" personalità politica (basti ricordare l'allora capo del governo, il democristiano Forlani, nonché alcuni noti esponenti della destra neofascista) che ne approfittò per rilanciare una proposta di legge a favore della pena capitale, fortunatamente senza successo.
Negli ultimi anni, in Italia si è alimentato un clima di crescente attenzione e tensione intorno ad alcuni reati di opinione e di associazione, attraverso campagne volte a criminalizzare il cosiddetto "movimento dei movimenti", i movimenti antagonisti e i gruppi new-global, per evocare reazioni autoritarie e repressive, fino all'estrema richiesta e al ricorso di un intervento armato, come accadde a Genova durante il G8 del luglio 2001.
Inoltre il sistema dell'informazione di massa concorre ad allestire ricorrenti campagne di allarmismo sul rischio terroristico, non più di tipo "brigatista" ma di matrice "islamico-fondamentalista", oppure rispetto ad altre forme delinquenziali come i frequenti episodi di violenza negli stadi di calcio.
Il meccanismo in questione è profondamente ipocrita, cinico e perverso, nella misura in cui l'intento reale non è affatto quello di combattere il crimine, bensì quello di provocare reazioni collettive di sdegno e di rabbia nella pubblica opinione, per legittimare in tal guisa risposte di tipo autoritario e poliziesco e, in ultima analisi, per riscuotere un maggiore consenso politico-elettorale.
Come è accaduto tante volte in passato, anche oggi da parte delle forze governative si tenta di strumentalizzare il "crimine" per biechi scopi elettorali, inseguendo l'approvazione da parte dell'opinione pubblica, montata ad arte dall'assordante propaganda di alcuni potenti mass-media che rincretiniscono sempre più la gente, rendendola inetta a pensare e ragionare con la propria testa.
Il fine ultimo sarebbe, in sostanza, quello di raccogliere un bel mucchio di voti alle elezioni di turno, ma di certo non quello di stroncare la "delinquenza" (si pensi alla mafia, alla camorra e altre associazioni criminali, che sono sempre molto attive e potenti), dato che è impossibile farlo sul versante della repressione e della soluzione carceraria, per le gravi insufficienze e contraddizioni inizialmente rilevate.
Pertanto, la risposta più giusta e razionale rispetto ai fenomeni criminali non è la repressione poliziesca e carceraria, in quanto il carcere è diventato un arnese obsoleto, un anacronismo storico-culturale, come lo sono la tortura, la pena di morte, la schiavitù e altre pratiche assolutamente incivili e disumane.
Semmai occorrerebbe mettersi d'accordo sul significato della parola "crimine". Occorrerebbe appurare e stabilire, ad esempio, se l'evasione fiscale è o non è un crimine di natura antisociale, come pure altri reati di ordine economico che il governo Berlusconi ha depenalizzato: si pensi al falso in bilancio. Al contrario sono state inasprite le pene rispetto a comportamenti ritenuti "devianti" quali, ad esempio, il consumo di droghe leggere.
Insomma, la giustizia è sempre relativa; la legge, il diritto e la morale sono storicamente determinati dagli assetti e dagli equilibri del potere, per cui ciò che un tempo costituiva un "peccato" o un "delitto", oggi può non esserlo più, e viceversa. Talvolta si può verificare un imbarbarimento dei costumi, un regresso culturale e politico della società, per cui vecchie norme, morali e giuridiche, che sembravano superate, vengono restaurate.
Queste sono le principali incoerenze e ingiustizie di un sistema economico-giudiziario, per cui chi evade le tasse per milioni di euro o falsifica i bilanci di grosse società finanziarie truffando e derubando centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori, la fa franca, mentre chi si fa semplicemente una canna rischia di finire in galera o, in alternativa, è costretto a "scegliere" un periodo di detenzione in un centro di "cura" e "disintossicazione".
La politica dei governi non fa altro che legalizzare e risolvere formalmente tali storture e contraddizioni.
D'altronde, come diceva il grande scrittore francese Balzac: "dietro ogni grande fortuna economica si cela un crimine".
Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.

Lucio Garofalo

1 commento:

  1. Gentilissimo Lucio,

    ti ringrazio molto per il tuo acuto articolo.
    Un'asciutta, argomentata, amara e tristemente, secondo me, reale, ma non qualunquista, descrizione di fatti storici e attualità.
    C'è sentimento non rabbia, c'è senso civico, non disinteresse per la res pubblica.
    Sono un giornalista, anche se non esercito questa attività come prima professione.
    Ma non per questo non vorrei poter fare una difesa degli organi di informazione.
    Purtroppo non sono in grado.
    Non credo in nessuna teoria del complotto, ma senz'altro il connubio tra potere economico e proprietà editoriale dei maggiori mass media non può essere negato.
    Oggi poi assistiamo ad un altro fenomeno che può preoccuparci, ma senza allarmismi, dovrebbe solo, a mio avviso, destare un maggior senso critico nelle nostre coscienze: l'invasione dei poteri prima economici e poi finanziari sul mondo dell'informazione e della comunicazione.
    Eppure, nonostante tutto, abbiamo la fortuna di essere nati in un Paese dove l'art. 21 della Costituzione sancisce la libera espressione del proprio pensiero.
    E noi del ricco occidente abbiamo, per la prima volta, mezzi di comunicazione provenienti da tante fonti, con contenuti veicolati in tanti modi.
    Certo.., l'accesso all'Informazione non è equamente ripartito nelle diverse classi sociali.
    Non è giusto, ma credo e spero che il cosiddetto "knoledge gap" possa essere abbattuto e non divaricarsi sempre più.
    Voglio sperare.
    E voglio credere che anche un blog può essere uno strumento di comunicazione interattiva e biunivoca, non punto-massa, ma punto-molti e diventare per questo fonte di dibattito, informazione e libertà.

    Andrea Pietrarota

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