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venerdì 23 febbraio 2007

Eutanasia, morte buona, suicidio assistito: ossimori della nostra epoca.

Ormai l'uso e abuso di tale terminologia ha condotto l'opinione pubblica a credere che l'eutanasia sia di fatto un'anticipazione deliberata della morte, un atto di estrema libertà contro la sofferenza e la malattia.

Ma facciamo un passo indietro.
Il termine "eutanasia" viene introdotto nelle lingue moderne occidentali dal filosofo Bacone, nel saggio "Progresso della conoscenza", nel 1605. In questo testo Bacone invitava i medici a non abbandonare i malati inguaribili ma anzi aiutarli a soffrire il meno possibile. È palese quindi che nell'idea del filosofo non ci fosse assolutamente il concetto di morte o suicidio assistito. Solo nel XIX secolo eutanasia è diventato sinonimo di atto medico tendente a porre fine alla vita di una persona malata. E così, da allora, si è andato diffondendo il concetto di "uccisione per pietà", stesso concetto che oggi vede favorevole l'opinione pubblica benpensante e buonista.

Molte indagini sono state fatte, tuttavia i risultati che danno sostegno all'eutanasia sono:
- 60% negli Stati Uniti
- 74% nella Canada
- 80% in Gran Bretagna
- 81% in Australia

La Chiesa naturalmente ha seguito, non senza una certa apprensione, tale sviluppo di pensiero. Di fatto va a sottolineare una certa debolezza spirituale e morale riguardo alla dignità della persona morente e un certo disimpegno alle vere necessità del paziente.
E non si tratta solamente di un giudizio di ordine etico che mi riservo per la conclusione, la domanda che sorge infatti è prima di tutto di ordine medico-sanitario:
il dolore fisico, lacerante, insopportabile, è oggi ancora incurabile? La risposta è no visti gli ultimi progressi in campo di analgesia e cure palliative proporzionate al dolore stesso, senza contare il sostegno psicologico ed affettivo.
È fuori da ogni dubbio, inoltre, che la vera posta in gioco nel dibattito sul testamento biologico sia quella della legalizzazione dell’eutanasia, mascherata da rispetto doveroso nei confronti della volontà. Siamo di fronte ad un burrone di dimensioni notevoli. È fin troppo facile prevedere il decorso della faccenda: si parte col ritenere che bisogna legalizzare situazioni estreme, problematiche e tutto sommato rare, e si arriva poi subito a estendere la legalizzazione a casi simili, solo estrinsecamente analogabili ai precedenti (l’eutanasia senza esplicita e consapevole richiesta).
Il testamento biologico, di fatto, rimarrebbe una prassi poco abituale e consolidata.

Da sempre il dolore richiede prima di tutto una risposta d'amore, di solidarietà e di assistenza, non la "sbrigativa violenza della morte anticipata". Il medico quindi non può scendere a patti con la propria coscienza quando è chiamato, in virtù della sua inderogabile deontologia (giuramento di Ippocrate), a sostenere la vita e curare il dolore.
Così neanche il principio di autonomia (e qui entro nel giudizio etico) con cui si vuole talvolta esasperare il concetto di libertà individuale, non può certo giustificare la soppressione della vita che è e rimane dono gratuito di Dio e la sua dignità deve essere rispettata fino alla fine naturale.

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