IL CONGRESSO DELLA CGIL E I PROBLEMI IRRISOLTI DELLO SVILUPPO.
di: Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco.
Si è concluso a Rimini il congresso della CGIL, con la scontata rielezione di Epifani, che lascerà il suo incarico in autunno. Gli succederà, quasi certamente una donna: la milanese Susanna Camusso. Tutto come previsto, con la votazione di due mozioni politiche, quella della maggioranza guidata dallo stesso Epifani e quella della minoranza, che ha raccolto il 17% dei consensi e che vede nel segretario generale della FIOM, Rinaldini, il suo più autorevole esponente. La minoranza interna, ha denunciato che in questo congresso, si sono ristretti gli spazi di democrazia interna del più grande sindacato italiano. A dire il vero, il congresso della CGIL, tra le altre importanti scelte che ha assunto, ha preso atto della reale consistenza della sua sinistra interna, che dai tempi della sua formazione, ad opera di Bertinotti, a quel tempo segretario confederale, ha sempre pesato molto nelle scelte e negli indirizzi della Confederazione. Questa situazione ha indotto comportamenti accentuati di rottura, la mancata firma di contratti ed accordi con il Governo e gli industriali. In questo modo la CGIL è sembrata il sindacato del no pregiudiziale, senza una vera proposta. Questi atteggiamenti tattici, hanno favorito l'azione delle forze di Centro Destra, che dopo la grande manifestazione del 2002, hanno lavorato per l'isolamento politico della CGIL. Purtroppo, queste forze hanno trovato nella CISL e nella UIL degli alleati inconsapevoli, che per difendere i propri apparati e la propria esistenza come organizzazione, hanno rappresentato il fronte del si a tutti i costi. Purtroppo, queste posizioni, hanno postato Bonanni ed Ageletti ad entrare a Palazzo Grazioli per la porta di servizio, per incontrare il premier ed accordarsi con lui sulla nuova contrattazione.
Queste posizioni hanno portato come conseguenza alla crisi unitaria attuale. Il Congresso di Rimini, mentre delimita gli spazi alla minoranza interna, ha rilanciato il rapporto unitario, le scuse di Epifani per i fischi sono sembrate sincere e gli interventi degli altri leader sindacali sono sembrati imbarazzati e meravigliati al tempo stesso: le aperture che sono venute dalla relazione gli impongono nuovi e più difficili scelte. Il tentativo di isolare la CGIL è ancora in atto, perché si tenta di far passare le posizioni sindacali della Confederazione guidata da Epifani, come espressione politica di una organizzazione che fa parte dell'opposizione al Governo e quindi, che non tendono ad un accordo, ma solo ad impedire l'attività dell'esecutivo. Il compito fondamentale che Epifani si era dato in questo Congresso era quello di cambiare l'immagine di mera opposizione della sua organizzazione, riprendere con forza la strada dei rapporti unitari, riducendo in questo modo gli spazi di contestazione interna. D'altra parte la CGIL, doveva presentare una proposta politica che fosse utile a far ripartire la contrattazione, nel pieno di una crisi economica senza precedenti. In questo Epifani è stato meno convincente, per i suoi problemi interni è sembrato ancora troppo preso dalle emergenze quotidiane, mentre era necessario guardare in avanti, immaginare un ruolo nuovo del sindacato in un mondo che uscirà da questa crisi molto diverso da come ci è entrato. La proposta fondamentale del Congresso CGIL è quella di un nuovo Piano del Lavoro, che permetta di sostenere l'occupazione, in questo modo, la riforma degli ammortizzatori sociali ha il senso di accompagnare i lavoratori che perdono il lavoro verso una nuova occupazione, senza penalizzare i disoccupati che potrebbero essere inseriti anch'essi in un percorso di lavoro non precario. Una idea giusta che ricorda la proposta della CGIL di Di Vittorio. Nel 1949, Di Vittorio, sostenuto dal suo centro studi, in cui lavoravano con una incredibile capacità ed una grande passione Vittorio Foa e Bruno Trentin, propose un piano per il lavoro in un paese appena uscito dalla guerra e che doveva ricostruire tutte le sue industrie, le sue infrastrutture, le ferrovie, i porti e le case. Immaginare un piano del genere, rappresentò una alternativa credibile alle proposte che venivano dal Governo di De Gasperi, che erano di consentire la ripresa della finanza e delle grandi imprese con l'aiuto del Piano Marshal, subordinando le esigenze ed i bisogni dei cittadini a quella ripresa economica, a costo di una emigrazione dei contadini poveri del Sud e del Nord Est del nostro paese, a costo della riduzione delle libertò democratiche nel mondo del lavoro.
L'intuizione di Epufani è stata giusta, gli imprenditori italiani sono sempre gli stessi; nelle crisi i primi provvedimenti da assumere sono per i lavoratori: libertà di licenziamento, disdetta dei contratti di lavoro, condizioni di lavoro senza regole e senza diritti. E' il solito paradosso italiano, in tutto il mondo si predica il fallimento delle teorie economiche di Marx, gli unici marxisti militanti sono gli imprenditori italiani, che ritengono il lavoro l'elemento che consente l'accumulazione capitalistica ed è l'unico elemento su cui pensano di intervenire per permettere la ripresa economica. Gli imprenditori italiani non pensano ad investire in ricerca ed innovazione, non pensano che debbono investire in servizi per i cittadini, in ambiente ed energia pulita, questo non interessa al gruppo dirigente della Confindustria. Quello che a loro interessa è la ripresa al più presto dei loro guadagni per riprendere posizioni di speculazioni che hanno come obbiettivo una crescita verso il nulla. Il problema di questa crisi è proprio l'evidenza del fallimento di un modello di sviluppo impostato sulla crescita infinita dei consumi. Un modello in cui si deve consumare soprattutto l'inutile e che produce solo rifiuti, distruzione del territorio, inquinamento e disastri ambientali. In questo contesto un piano del lavoro deve essere finalizzato ad un nuovo modello di sviluppo, in cui non si devono incentivare i consumi, ma il benessere generale, la qualità della vita dei cittadini. Se una verità risulta evidente agli occhi di tutti che dopo il fallimento della ideologia comunista, anche quella del liberismo sfrenato e discriminatorio è definitivamente giunto al capolinea. Il mondo intero è alla ricerca di nuove regole comuni, di un nuovo modo di immaginare lo sviluppo garantendo al tempo stesso a tutti, gli stessi diritti.
Nella sua relazione e nelle sue conclusioni Epifani, ha individuato, che dietro il tentativo di destrutturate il ruolo del Contratto di lavoro, si nasconde la necessità di riprendere un percorso finanziario da parte delle imprese che in questi anni, seguendo le illusioni speculative della borsa, hanno bruciato, nel mondo virtuale della finanza, migliaia di miliardi di dollari ed euro reali, prodotti dal lavoro di intere generazioni di tecnici ed operai. Se questa lettura fosse venuta chiara dal Congresso della CGIL, sapremo dove indirizzare il Piano del Lavoro proposto. Senza una visione organica della attuale fase, la CGIL sembra essere in ritardo di fronte alle annunciate riforme del Governo di Centro Destra. Sacconi, interprete nel precedente Governo Berlusconi della riforma del mercato del lavoro e dei contratti di assunzione dei lavoratori, oggi Ministro del Lavoro, dopo quella riforma che secondo quanto annunciato doveva portare a consistenti aumenti di posti di lavoro; oggi afferma la necessità di destrutturate il Contratto di lavoro, per consentire agli imprenditori della Mercegaglia, di aumentare l'orario di lavoro, i ritmi e diminuire le retribuzioni. Non sono in discussione solo i diritti dei lavoratori, ma lo sviluppo del nostro paese. I diritti servono a garantire la partecipazione dei lavoratori alle scelte per lo sviluppo, ridurre al silenzio questa parte importante e fondamentale dei cittadini, significa andare verso il fallimento generale. Senza un contratto sociale, non può esserci la crescita del paese. La demagogia e la ricchezza virtuale, creano una illusione di breve tempo, per poi sprofondare come in Grecia, come in Argentina.
Da Guglielmo Epifani, al termine del suo mandato e finalmente libero da condizionamenti, ci saremmo aspettati uno scatto intellettuale, che aiutasse tutti a ritrovare la rotta giusta. La nostra delusione è sorretta dalla consapevolezza che il Segretario Generale della CGIL ha i numeri per una riflessione nuova sulla crisi e lo sviluppo. Laureato in Filosofia, non ha mai trascurato di approfondire i cambiamenti della società. In lui, però, ha prevalso sempre, ed anche questa volta, la necessità di tenere unita la CGIL. Epifani, anche in questa ultima occasione, ha preferito l'organizzazione alla riflessione scomoda, alla innovazione del modo di pensare e di agire di un sindacalista. C'è ancora troppo apparato, cìè ancora troppo potere nelle strutture del sindacato per poter cambiare passo. Avremo ancora un sindacato che rincorrerà gli eventi, non un sindacato che indichi un moso diverso di fare lo sviluppo.
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