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giovedì 17 novembre 2011

MARIO MONTI: IL LUPO A GUARDIA DELLE PECORE. Di Mario Michele Pascale

Ho aspettato un po’ prima di pronunciarmi sull’incarico a Mario Monti. Oggi, con la nomina dei ministri, il quadro è completo.
Devo confessare che alle volte i pregiudizi aiutano, sono funzionali alla sopravvivenza. Uno dei pregiudizi maggiormente radicati consiste nel fatto che, in genere, si evita di mettere i lupi a guardia delle pecore.
Cosa ci faccia Mario Monti, uomo forte dei poteri finanziari, alla presidenza del consiglio è un mistero. Il suo arrivo è stato salutato come l’avvento dell’uomo del destino, colui che, grazie ai suoi poteri personali e all’imposizione taumaturgica delle mani, ci salverà dalla bancarotta.
Strano … dopo Berlusconi pensavamo di non avere più bisogno di un “uomo del destino”; Silvio è morto (politicamente) eppure sopravvive, sia pure in forma maggiormente sobria, in Mario Monti, anch’egli “uomo del destino” ed epico soccorritore dell’italico sfascio.
Siamo di fronte alla morte della politica intesa come espressione della volontà dei cittadini attraverso la rappresentanza. Alle ultime elezioni politiche il nome di Mario Monti sulla scheda elettorale non c’era. Sia Prodi che Berlusconi hanno governato sulla base di un mandato popolare, dopo libere elezioni. Monti è stato calato dall’alto per far si che la famosa lettera della Bce trovasse immediata risposta. I partiti, invece di mettere in primo piano l’elettorato e la sua volontà attraverso nuove elezioni, hanno piegato il capo, sottomettendosi, in tutto e per tutto, ai desiderata dei poteri economici e finanziari.
L’esecutivo di Monti non ha spazio per la politica; è fatto di soli tecnici. Personalmente io credo che l’azione di governo sia qualcosa di diverso dalla manutenzione quotidiana. La burocrazia gestisce l’ordinario; la politica, quella vera, progetta il domani.
Nella “vocazione” di Monti non c’è spazio per il futuro.
Perla tra le perle, nel governo Monti viene abbattuto un tabù antico quanto le democrazie occidentali. Il fatto che i militari siano subordinati al potere politico è una delle costanti delle democrazie; quando questo non accade succedono, in genere, cose incresciose, come in Cile o in Argentina. Nel governo Monti, in nome della funzionalità tecnica, un militare, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, governa gli altri militari come ministro della difesa. Certo, la fiducia alla base di tutto; sono sicuro che l’ammiraglio Di Paola è uomo retto e fedele difensore della costituzione, ma questo precedente potrebbe aprire, in futuro, strade perverse a gente molto meno corretta e con poche remore democratiche.
Il problema è che il culto del “tecnico” crea persone che decidono in solitudine, sorrette dalla “scienza”, dalla “competenza” e dalla “conoscenza”.
Avendo così alte guide cosa importerà del consenso? Cosa importerà della volontà dei cittadini? Cosa importerà del dissenso?
Negli anni di Berlusconi abbiamo rimpianto Giulio Andreotti e l’età del proporzonale.
Negli anni a seguire, dopo la “cura” Monti, non vorrei che fossimo costretti a rimpiangere Silvio Berlusconi ed il bunga bunga.
Mario Michele Pascale

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