
che vuole inebriare tutta la sua gente di quell'istante atteso una vita, e il pallone dalla sua testa abbraccia la rete, la divora. In quell'attimo prende vita la leggenda di cento mille respiri della vita di ognuno. Giannini, il Capitano di un decennio d'amore, il poeta che in quello stesso stadio alimentò la struggente e meravigliosa utopia delle notti magiche, ora è sotto la sua Sud, sotto la curva che usava da bambino per ribellarsi alla finitezza e alla mortalità di ogni creatura. Tutto in quel momento aveva un ordine cosmico e della passione, compreso il finale della storia: Moriero nei supplementari segnerà il 3-0 ma poi a 7 minuti dal trionfo lo Slavia getterà nella disperazione i 70mila dell'Olimpico. In fondo è questa la vita: il migliore ferma il tempo, lascia gli dèi raggelati da tanta bellezza ma spesso soccombe. Era già successo al Maracanà 46 anni prima, era già successo molte volte nel calcio e nel quotidiano vivere di ogni vita. Sarebbe successo ancora ma nulla sarebbe stato più capace di infrangere l'epopea di quella sera. Dice l'inno della Roma, "dimme cos'è che me fa sentì importante anche se nun conto niente": ecco l'essenza del calcio, di Giuseppe Giannini, del gol allo Slavia, della corsa sotto la curva. In quel momento siamo stati tutti importanti e tutti unici, chi era là e chi come me si commuoveva davanti a un televisore. Siamo stati tutti sotto quella curva, insieme a quella bandiera del calcio che camminava ormai lungo il viale del tramonto ma non camminava da sola, come insegnano i cori di Anfield Road. E quella bandiera, prima di ammainarsi, ha fatto il dono più grande a tutti coloro che dopo i 5 anni di età si sono nutriti di corse sotto curve immaginarie, fossero i cespugli ai lati di una ferrovia o un vecchio granaio abbandonato: ha riscaldato nel cuore ognuna di quella curve e fatto amare ogni battito di quella carezza rotonda.
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