Una storia napoletana-Pizzerie e pizzaioli tra Sette e Ottocento, il bel libro di Antonio Mattozzi, presentato alla Biblioteca Nazionale, nella sala Rari. Al tavolo dei relatori, con l'autore, esimi cultori del cibo più apprezzato e diffuso nel mondo; lo storico Guido D'Agostino, Josè Vicente Quirante, direttore dell'Istituto Cervantes, il regista Ugo Gregoretti, il giornalista del Mattino Luciano Pignataro, Giovanni Ruffa, responsabile delle riviste "Slow fodd, che ne ha curato la pubblicazione, coordinati dal direttore della Biblioteca Mauro Giancaspro.
Nel volume, oltre duecento pagine, frutto di un'accurata ricerca d'archivio, si ricostruisce la storia del pizzaiuolo e della pizzeria e la sua espansione sul territorio cittadino, attraverso tre importanti periodi della storia di Napoli: il Decennio Francese, l'Unità d'Italia e il cosiddetto Risanamento, in pratica lo sventramento della città. E' la storia dell'evolversi di un gruppo sociale, che acquista una sua identità riconosciuta in ogni parte del mondo.
Nell'accogliere il folto pubblico, Giancaspro, con la solita verve ha esordito: "Anche noi in biblioteca promuoviamo lo slow, affinché non ci si limiti a fotocopiare i libri e scappare ma ci si intrattenga per vivere la biblioteca".
Il libro di Mattozzi, ha detto D'Agostino, che ne ha curato la prefazione: "Non è certo il primo che affronta il tema, ma è senz'altro il primo che riesce a farlo senza cadere nel folcloristico".
Nel
Una pagina del libro, letta dall'autore, racconta un divertente aneddoto: Ugo Gregoretti, assiduo cliente di una delle pizzerie della dinastia Mattozzi con i suoi compagni dell'istituto Pontano, negli anni '50, allo slogan di un candidato alle elezioni amministrative: "Volete una casa? Votate Capozzi", aggiunsero "Volete una pizza votate Mattozzi". Il regista ha aggiunto che Capozzi fu trombato in pieno e loro continuarono a frequentare la pizzeria, accolti con simpatia dai proprietari.
A sua volta Ruffa, ha voluto precisare che la pizza entra a pieno titolo nell'ambito dello slow food perché per farla occorre tempo, pazienza e fantasia. Infatti la "schiacciata" fatta dalle stesse mani non è mai la stessa, per impasto, cottura e condimento.
Quirante, autore di un pamphlet sull'elogio del caffè, nel ricordare la presenza in questi giorni dell'attrice Julia Roberts nella Pizzeria da Michele ai Tribunali per girare il suo ultimo film, tratto da un testo scritto da una viaggiatrice di passaggio per Napoli, ha detto: "Nell'era della globalizzazione, in cui il cibo del mondo tende ad assomigliare sempre di più, Napoli si salverà proprio grazie alle sue tradizioni".
Nel libro il ventre di Napoli, Matilde Serao, scriveva "Un giorno, un industriale napoletano ebbe un'idea. Sapendo che la pizza fosse una delle adorazioni cucinarie napoletane, sapendo che la colonia napoletana in Roma era larghissima, pensò di aprire una pizzeria. Il rame delle casseruole e dei ruoti vi luccicava, il forno vi ardeva sempre; tutte le pizze vi si trovavano: pizze al pomodoro, pizza con mozzarella e formaggio, pizza con alici e olio, pizza con olio, origano e aglio.
Sulle prime la folla vi accorse, poi andò scemando. La pizza, tolta dal suo ambiente napoletano pareva una stonatura e rappresentava una indigestione, il suo astro impallidì e tramontò in questa solennità romana". Oggi la pizza si trova ovunque nel mondo ed è apprezzata, ha concluso Pignataro, ma per gustarla nella sua fragranza bisogna venire a Napoli.
Una storia Napoletana. Pizzeria e pizzaioli, tra Sette e Ottocento" di Antonio Mattozzi. Ed. Slow food (13,50 euro)
Nessun commento:
Posta un commento