Per una visibile (e soprattutto sostenibile) innovazione "dell'elettronica"
di Alessandro Farulli
14 gennaio 2010. Può essere invisibile una macchina che elabora dati attraverso processori e programmi, che è costruita con materie prime provenienti spesso dai Paesi in via di sviluppo, che è alimentata con energia elettrica prodotta per la stragrande maggioranza da fonti fossili e che ha un ciclo di vita piuttosto limitato? La domanda provocatoria e retorica la facciamo alla luce di quanto sostiene oggi Luca De Biase su "Nova" in un interessante articolo dal titolo "L'elettronica dell'invisibile".
Il tema è quello dell'innovazione tecnologica e del potere dei consumatori nell'orientarla. Ma dall'intero ragionamento, argomentato anche brillantemente, manca del tutto l'aspetto dell'impatto che queste innovazioni hanno sul pianeta. Sia in senso negativo, sia in positivo.
Dice ad esempio De Biase che «l'esperienza della consumerizzazione dell'elettronica, nel contesto della rete, porta al mercato con soluzione relativamente chiara. Alcune grandi aziende - attraverso il marchio, il design, la gestione di piattaforme, la regolazione dei flussi logistici, la costruzione di aspettative e desideri - riescono a convogliare tecnologie che restano misteriose e invisibili ai consumatori, ma che incarnano e rendono possibile l'innovazione».
«E' una struttura - aggiunge - che apre grandi spazi di sviluppo, non in base alle dimensioni delle aziende, ma in ragione della capacità di servire l'ecosistema».
Per "ecosistema" De Biase intende quell' «incontro di specializzazioni diverse» che vede «da una parte le funzioni di coordinamento e piattaforma, dall'altro la generazione di valore aggiunto di conoscenza». Ma il concetto può essere esteso anche all'ecosistema rappresentato dal Web stesso, che qualcuno ha definito come «una rete, un network, una community digitale di organismi che interagiscono, si diffondono e si combinano avendo come obiettivo la sopravvivenza, la crescita, l'evoluzione».
Ma, in questa visione olistica della rete e del sistema produttivo, ciò che non andrebbe (e che invece viene) dimenticato è proprio "l'ecosistema" propriamente inteso. L'ecosistema naturale cioè, quello che viene definito come un sistema aperto, con struttura e funzione caratteristica determinata da: flusso di energia e circolazione di materia tra componente biotica e abiotica.
Quel sistema per cui anche tutto quello che appare virtuale - internet e comunicazioni telefoniche in primis - deve necessariamente passare, in questo caso attraverso l'hardware che per far interloquire nella rete sfrutta appunto energia e materia. Se l'orizzonte è, come lo è per noi ma sembrerebbe anche a livello mondiale, quello di un'economia più sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, l'innovazione deve avere "di default" un'impostazione: la riduzione della materia e dell'energia.
E allora bisognerebbe domandarsi come domanda e offerta possono incontrasi su questo terreno? Questi «grandi spazi di sviluppo» a cui allude De Biase dovrebbero essere mirati non solo sul software, ma sull'obsolescenza programmata, sui consumi energetici, sul riciclo dei materiali e sullo smaltimento delle macchine. L'innovazione dell'innovazione deve andare in questo senso. De Biase certamente imposta il suo ragionamento verso altre questioni più strettamente tecniche dell'utilizzo dell'elettronica e sul design tecnologico, ma nel 2010 si può ancora ignorare quello che ci sta prima e dopo l'iPhone?
fonte: http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=2852
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