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lunedì 18 dicembre 2006

Quale regolamentazione per il Web italiano?

Gli ultimi casi di cronaca che hanno visto il Web protagonista suo malgrado riaprono il dibattito sulla regolamentazione della Rete.


(shinynews) La notizia è stata ampiamente raccontata e seguita da tutti i media italiani: alcuni studenti di una scuola hanno picchiato un proprio compagno down, riprendendo l'accaduto e quindi rendendolo disponibile al pubblico su Google Video. Nel giro di pochi giorni si è scatenata la caccia all'episodio di bullismo su Internet, in particolare su YouTube e su Google Video. Siamo stati letteralmente inondati, nei telegiornali, da filmati scaricati da Internet, e l'equazione passata alla gente è stata quella che la Rete incentiva gli episodi di bullismo. Da qui, a indagare due responsabili di Google, il passo è stato breve. Il problema della legalità online torna prepotentemente d'attualità.

I fatti

La denuncia a Google è l'elemento veramente dirompente dell'inchiesta in corso. Episodi di bullismo, gravi e meno gravi, sempre stupidi, ce ne sono sempre stati e ce ne saranno sempre, accompagnati dalla vanteria del caso degli stupidi di professione. Quindi, la onlus Vivi Down che si è occupata di quel fatto di bullismo, ha denunciato Google per diffamazione. I PM di Milano hanno iscritto due responsabili americani di Google nel registro degli indagati e fatto eseguire delle perquisizioni. A nulla è valso l'atteggiamento di Google, collaborativo con la giustizia e autocensurante appena è emersa la questione con la rimozione del video sotto accusa.

L'aspetto legale

Da quel momento, molti politici si sono affrettati a dichiarare che esiste un buco normativo e che presto vi porranno rimedio. Una verità discutibile, perché la questione può a buon diritto rientrare nella discussione sulla responsabilità oggettiva degli internet provider. Questione già affrontata e risolta in sede europea con la direttiva 31 del 2000, recepita in Italia dal decreto legislativo 70 del 2003. La questione è fissata: non esiste un obbligo generale di sorveglianza preventivo a carico dell'internet provider, che cioè non ha una responsabilità oggettiva sui contenuti immessi in Rete. Soltanto a fronte di un provvedimento esecutivo delle autorità è possibile rimuovere o rendere indisponibili servizi o contenuti.

La regolamentazione Web

Tuttavia, se da un punto di vista giudiziario quella norma dovrebbe essere sufficiente a chiarire la maggior parte degli aspetti della vicenda, rimane aperta invece una questione ben più importante e di ampia portata. Il Web, per come è nato, per come si configura e per il suo innato carattere di libertà d'accesso, è una sorta di territorio aperto. Vale la pena regolamentare questo territorio aperto oppure è meglio lasciare la massima libertà d'espressione agli utenti. Sulla questione, fortemente dibattuta da anni, si torna oggi con nuove preoccupazioni legali planetarie (terrorismo e cyberterrorismo), di comportamento e di decenza (il video sharing permette di postare immagini di ogni tipo, dalle violenze al bullismo alla pedopornografia), di informazione corretta e responsabile (quali garanzie danno sulle notizie le nuove forme del sapere collaborativo?)

Una soluzione difficile

La soluzione al problema resta molto complicata. Da una parte c'è la questione del mezzo, che è sopranazionale, e dall'altra le normative, che hanno base nazionale salvo accordi specifici (che però dovrebbero essere sottoscritti dalle singole nazioni). Dall'altra c'è già la possibilità di individuare la singola responsabilità, e il dibattito sul ruolo dei grandi carrier (semplici mezzi o responsabili dei contenuti?).

Una proposta tutta da studiare

Escludendo a priori l'appoggio a qualsiasi tentativo di censura, le strade percorribili non sono molte. Il problema non è tanto nelle leggi (che vanno rispettate, anche online), ma in tutti i casi di confine: a questo proposito ci sembra utile segnalare la proposta, rilanciata ultimamente dal giurista Stefano Rodotà dalle pagine di un quotidiano ma dibattuta da anni, di una "Carta dei diritti e dei doveri". Non un'imposizione, ma una sorta di codice deontologico riconosciuto da tutti, in primis dagli operatori del Web e magari anche dagli utenti. Ovviamente, è molto più semplice dirlo che realizzarlo, ma forse nell'ambito delle Nazioni Unite è tempo che qualcuno cominci a sollevarla come questione concreta.

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