Il caffè in capsule? Una scelta pratica e veloce, fatta sempre più spesso dai consumatori. Già da qualche anno, del resto, il mercato si sta muovendo chiaramente in questa direzione, con concreti e incoraggianti risultati, come l’eloquente aumento del 20% registrato nel 2009 in Italia nel consumo di questo prodotto. Si pone però la questione della sostenibilità: se usando i sistemi tradizionali ci si limita a gettar via solo i cosiddetti “fondacci”, con le capsule nei rifiuti finiscono anche gli involucri di plastica. E la plastica, si sa, ha tempi di degradazione piuttosto lunghi… Indicativamente dai 100 ai 1000 anni per un sacchetto o una bottiglia.
Più di qualche azienda ha iniziato a proporre sistemi alternativi, in primis capsule ricaricabili, come le Nespresso o le spagnole Necap, oppure biodegradabili. Queste ultime, per evitare il rilascio di residui tossici e affinchè la degradazione si riduca unicamente ad acqua e anidride carbonica, ricorrono in genere o a biopolimeri provenienti da materia prima rinnovabile prodotta da vegetali, come lo zucchero, oppure a plastiche additivate. Cosa significa? Significa che la plastica viene trattata con specifici additivi che facilitano e accelerano il processo di degradazione.
Per presentare un caso concreto, le capsule Meseta, ad esempio, utilizzano un additivo che si chiama “ECM MasterBatch Pellets”. Questo, aggiunto in una percentuale dell’1% nella mescola della plastica, rende il bicchierino completamente biodegradabile (si è stimato che il 100% della biodegradabilità è raggiunto in crica 839 giorni).
Certamente molto può essere fatto, ma iniziare a coniugare la praticità con l’attenzione per l’ambiente può essere un primo importante passo. Anche se si tratta semplicemente di bere un buon caffè.
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