COSA È CAMBIATO AD UN ANNO DALL’ANDATA IN VIGORE DEL PROTOCOLLO DI KYOTO
*) aldo ferrara
Secondo le pessimistiche previsioni dell’ASPO, Associazione di studio del picco del petrolio, le scorte di greggio potrebbero essere agli sgoccioli già entro il 2010. Secondo la Cibc/wm la domanda di greggio a scopi industriali ed urbani appare in netto aumento rispetto la complessiva offerta a livello mondiale. Questo significa che, in assenza di energia alternativa, potremmo trovarci entro dieci anni senza fonti energetiche. I 12 milioni di barili che si prevedono in estrazione supplementare da nuovi giacimenti serviranno a colmare eventuali perdite da altri giacimenti esauriti. I più ottimisti, come Chris Skreboswski, indicano che la dotazione mondiale di greggio si assesta sui 2 mila miliardi di barili, di cui metà già consumata. Siamo dunque comunque in fase di calo produttivo, anche se non si è d’accordo su quando la cessazione definitiva avrà luogo.
Il mondo capitalistico, basato sulla produzione incontrollata di energia da fonti fossili non rinnovabili, paga così il peccato di presunzione e la mancanza di proiezione al futuro, non avendo esperito altre possibilità di fonti rinnovabili. Questo ci dà lo spunto per alcune considerazioni.
1) Il prossimo Governo italiano dovrà fare i conti con il gravissimo oil deficit, lo squilibrio della bilancia dei pagamenti per aumento del costo del barile che si prevede possa salire dagli attuali 66 dollari ai 100 entro quattro anni (2009). A ciò si aggiunga che l’aumento del costo del greggio e soprattutto la sua costanza nell’ascesa, comporta un processo inflazionistico medio dell’1-1,5% annuo per questa sola causa. Il Governo non potrà mantenere a lungo le accise a titolo elevato e pertanto dovrà ripianare ricorrendo ad altre fonti di incetta fiscale. Quindi, bene o male, si dovrà ricorrere ad un aumento della tassazione, diretta od indiretta, accelerando così la spirale inflazionistica, sia pure attraverso il giogo della recessione (stagflation) per riduzione dei consumi.
2) a questo punto non bastano più gli slogan che spaziano dallo sviluppo sostenibile alla cura del ferro perché le parole non costano ma questa volta in campagna elettorale vogliamo i fatti, ecologicamente corretti. Lo richiedono le migliaia di morti all’anno per smog ed i 10 miliardi di euro spesi in cure per malattie da inquinamento. L’agenda politica dovrà anche spiegarci se indica come prioritarie le scelte in tema di energia rinnovabile, di energia fotovoltaica e, perché no, eolica che tanto disgusta alcuni Verdi doc ma che, pur deturpando il paesaggio, comporta la risorsa di quei 8-10 mila MegaWatt che risolverebbero il nostro costante deficit energetico:
3) Sempre l’Agenda Politica dovrà spiegare anche cosa intende fare per sviluppare quella ricerca scientifica che è essenziale per rimuovere il gap del nostro Paese in tema sanitario, energetico e di sviluppo territoriale. La drammatica incapacità di prevedere il trend delle scelte future ha fatto sì che si navigasse a vista per troppi anni e che l’ultimo governo navigasse a svista continua, incoraggiando spese pubbliche impossibili ed in contrasto con quanto sopra esposto. Continuare ad investire nelle opere stradali, nelle bretelle, nelle autostrade, in assenza di alternative energetiche, risulta essere un tragica contraddizione in termini.
4) Nel caso malaugurato che tali tematiche non venissero ritenute prioritarie per il futuro del Paese, ma francamente non lo crediamo, una politica, priva di tali connotazioni, non potrà essere ancora considerata di avanguardia. Bisognerà finalmente chiarire l’apparente contraddizione tra sviluppo industriale e del territorio urbano con la salvaguardia ambientale. Come noto, i due termini sono sempre stati considerati antitetici fin tanto che non si è apprezzato che investire nell’ambiente è molto meno oneroso che perseguire uno sviluppo ecologicamente scorretto. La vicenda del Protocollo di Kyoto lo dimostra senza ombra di dubbio: i Paesi che hanno riconvertito in senso ambientalista la produzione industriale sono quelli che oggi vendono le quote d’aria e che risparmiano in termini di risorse e di penalità che non versano più.
5) Il Governo pro-tempore ci lascia in eredità una servitù ecologica caratterizzata dalla conversione di alcune Centrali da ciclo misto a carbone, come Civitavecchia; dalla riduzione del finanziamento per le infrastrutture urbane ( corsie preferenziali e nuovi tracciati di metropolitana: basti pensare che il Governo D’Alema aveva lasciato in eredità 125 milioni di euro, per nuovi percorsi metro); dall’incremento sensibile delle polveri sottili ad ogni inverno per mancanza di provvedimenti sui carburanti etc. E soprattutto ci lascia il seme del nucleare come ipotesi di lavoro buttata lì quasi per caso. La sinistra non deve cedere a queste tentazioni e deve far proprio lo slogan “no nuke-no coke” per sgombrare il campo da possibili equivoci antiecologici.
6) Dunque siamo vicini ad una condizione di Primary Oil Deficit che ridurrà progressivamente la capacità di offerta mentre la domanda è in crescita per lo sforzo produttivo di molte nazioni asiatiche, come la Cina, l’India e la Corea e che, bene o male, sono al riparo dalle limitazioni del Protocollo di Kyoto proprio per incrementare lo sforzo produttivo. Tale considerazione indica che a medio termine dovrà salire ulteriormente il prezzo del greggio proprio per riduzione dell’offerta ed aumento della domanda. Allora ci si chiede come mai il prezzo del greggio è già nell’agosto 2005 salito a quota 66 dollari al barile anticipando di qualche anno l’oil deficit primario. La risposta è complessa e non obbedisce ai canoni classici delle leggi economiche. Siamo in presenza di una drammatica lotta tra dollaro ed altre divise, tra Stati Uniti ed altri paesi che cercano di divilupparsi dalla morsa americana che da due anni sta coinvolgendo il globo in una guerra, quella iraquena, che tutto prevede tranne che l’esportazione della democrazia. Bloccare il mercato del petrolio, limitare le esportazioni irachene, condizionare il modello di approvvigionamento, con un aggiotaggio statunitense che si aggira sul 9% delle riserve mondiali, in pratica avere in mano i rubinetti dell’oro nero sono stati i veri obiettivi di un’America spinta alla riconquista dei mercati finanziari per una forte ripresa del dollaro attraverso la crescita del prezzo del greggio. Ed in tutto questo le holding russe (Nafta, Gruppo Abramovich et altri) hanno cooperato perché il mercato dell’oro nero entrasse nella spirale del duopolio delle Compagnie texane e quelle russe. La crisi del gas dettata dalla riduzione di fornitura di gas russo, pone anche in drammatico risalto il problema dei Trattati Commerciali. Basti pensare che per le forniture di gas od oil (greggio) noi paghiamo pronta cassa mentre si dovrebbe inserire nei protocolli commerciali lo scambio oil versus BTP ossia Bilancia Tecnologica dei Pagamenti e quindi scambio oil versus tecnologia esportabile in modo da non incidere sulla Cassa Trimestrale.
7) Le ripercussioni sul nostro mercato sono immediate: ne deriva un costo aggiuntivo per le nostre famiglie, sin da subito, dai prossimi mesi, costituito da un aggravio di circa 80 euro/anno per famiglia, in termini di energia elettrica + gas, e di circa 270 (+/- 100) euro/anno per i carburanti. Un impegno collettivo stimato su 5,5-6 miliardi di euro, verosimilmente destinato ad ascendere fino ai 20 mld di euro. A cui si devono aggiungere circa 25-30 euro/anno/per famiglia da imputare al Protocollo di Kyoto per surplus di quote di anidride carbonica e quindi da debito contratto nell’emission trading. Quanto basta per creare ulteriore perdita di acquisto dell’euro, nuove povertà e maggiore indigenza. Quanto basta per chiudere finalmente la partita perdente con il petrolio ed aprire, se possibile, un varco con le energie alternative. Anche di questo si dovrà tener conto se vorrà tracciare un moderno piano di sviluppo del paese e dare un’immagine nuova e proiettata nel futuro pulito, ricorrendo ai fatti senza cedere all’ecologismo di maniera ormai demodé.
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