Tsunami, da nome che fino a qualche anno fa suonava incomprensibile a molti occidentali, è diventato tristemente noto il tutto il mondo per la sua furia devastatrice. Impossibile da quel giorno non associarlo alle immagini di distese di corpi e di paradiso perduto che hanno fatto il giro del mondo.
Lo Tsunami del Sudest asiatico ieri, e quello di Samoa e Tonga oggi, non ha solo spazzato via spiagge, uomini, case; ha cambiato il tradizionale rapporto fra l’evento e la comunicazione dell’evento. In ogni angolo della terra sono arrivati i suoni e le immagini di quella tragedia, “in presa diretta” o quasi.
Le mediazioni del sistema delle informazioni si sono allentate; il sistema stesso ha dovuto fare i conti con altre fonti della notizia che non rientrano nella propria sfera di decisioni. Non solo i grandi network, ma anche modeste troupe televisive e soprattutto la complessa rete di Internet hanno messo a disposizione di tutti, notizie e commenti sull’evento.
Una volta c’era la Cnn, la Bbc, la Rai ecc..; c’erano i loro giornalisti, i loro operatori, tecnici, i loro padroni: gli unici in grado di decidere cosa far vedere e come farlo vedere. Le spiagge devastate di Phuket, di Banda Aceh, dello Sri Lanka ci furono mostrate, con le tante piccole storie di una grande tragedia, anche da telecamere digitali in mano a turisti spaventati; mentre sul Web correvano i nomi dei morti, dei dispersi, le invocazioni, la solidarietà, la disperazione, il conforto… la vita e la morte in diretta. Ora è toccato al Sud est Pacifico, 113 i morti accertati fino a ieri. Ma la conta continua.
Una cosa è certa: tutti ci siamo resi conto, non solo più gli esperti del caravanserraglio mediatico, che oramai qualcosa dalla prima “onda anomala” è cambiata e che, qualcosa è destinata a cambiare velocemente nel mondo della comunicazione.
I “coni d’ombra” dell’informazione sono destinati a sparire? E’ finito l’”imperialismo mediatico” su cui hanno finora discettato sociologi della comunicazione? Forse no, ma la rivoluzione tecnologica degli ultimi anni ha messo in discussione tante certezze sul sistema dei mezzi di comunicazione di massa e sui processi culturali ad esso legati.
L’unica certezza è che, diversamente dall’11 settembre, aver assistito alle immagini della tragedia trasmesse dal mondo dell’informazione e percepirne la furia, non ha richiesto lo sforzo impossibile di comprendere le motivazioni di un essere umano, ma solo tornare impotenti, all’era primordiale in cui gli elementi terrorizzavano l’uomo, ospite di un mondo ostile. Il mare ora e lì, a ricordarci che forse ostile non ha mai smesso di esserlo. O che noi non abbiamo mai smesso di essere ospiti.
Daniele Memola
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