LA LEZIONE CHE VIENE DALLE BANCHE DELLE STORIE
E DALLE BANCHE DEL CERVELLO
Con 7, 3 milioni di malati in tutta Europa la demenza e la malattia di Alzheimer sono oggi la maggiore sfida sanitaria di tutti i governi , una sfida che si può vincere guardando alla malattia dalla parte del malato, della sua storia, dei suoi sentimenti, delle sue paure- I risultati del convegno “Biografia, non solo biologia” organizzato a Milano dalla Federazione Alzheimer Italia e dalla Fondazione Golgi Cenci in occasione della XVI Giornata Mondiale Alzheimer
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Milano, 21 settembre 2009 - La XVI Giornata Mondiale Alzheimer si apre all’insegna di numeri sempre più allarmanti: un recente studio finanziato dalla Commissione Europea (progetto EUROCODE) e coordinato da Alzheimer Europe rivela che i malati di demenza e di malattia di Alzheimer in tutta Europa sono ormai 7,3 milioni contro i 6,9 milioni di malati stimati in precedenza e che la malattia ha una prevalenza soprattutto nella popolazione di oltre 85 anni. Le cifre pongono tutti Governi europei di fronte ad una sfida che per essere vinta richiede nuovi approcci alla malattia.
Di questo si è parlato al convegno “Biografia, non solo biologia” organizzato dalla Federazione Alzheimer Italia in collaborazione con la Fondazione Golgi Cenci con l’obiettivo di suggerire nuovi orientamenti terapeutici e nuove modalità di approccio al malato di Alzheimer. Al convegno hanno partecipato alcuni fra i maggiori esperti italiani e internazionali impegnati sia nel campo della ricerca medica che della ricerca medico sociale. Al centro del dibattito le speranze offerte dalla medicina narrativa che ha come punto centrale della relazione di cura la biografia del paziente, cioè il racconto delle storie di vita del paziente e i progressi raggiunti nel campo della biologia dalle cosiddette “banche del cervello” attraverso lo studio dei tessuti cerebrali.
“Essendo stato “Banchiere del Cervello” della Brain Bank della John Hopkins University sono consapevole dell’importanza che l’esame del tessuto cerebrale ha per la comprensione dell’invecchiamento cognitivo, ma le nostre biografie sono davvero più importanti della biologia. I modelli medici basati unicamente sulla biologia genetica riduzionistica non sono sufficienti per rispondere alla sfida internazionale della demenza.” ha affermato Peter J. Whitehouse professore di neurologia alla Case Western Reserve University di Cleveland citando come esempio il progetto Banca delle Storie , progetto interdisciplinare per raccogliere e analizzare le storie di salute e malattia dei pazienti e i programmi innovativi della Scuola Intergenerazionale da lui fondata a Cleveland, che ospita studenti di ogni età e che beneficia gli anziani con demenza da lieve a moderata attraverso il lavoro e il gioco con gli studenti più giovani.
“La demenza colpisce la biologia dei malati ma colpisce anche la loro biografia in quanto irrompe come punto di crisi esistenziale nella loro soggettività che è fatta di ricordi, valori, aspirazioni e impressioni su sé stessi, sugli altri e sul mondo che li circonda – ha affermato Alberto Spagnoli, psicoterapeuta del Centro Sant’Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio - Per questo è importante comunicare con il malato e raggiungere la sua soggettività. E poiché le biografie di persone con demenza sono destinate ad aumentare è importante attivare politiche di inclusione che mantengano il legame tra il malato, la sua famiglia e la comunità di appartenenza”.
“Il racconto delle storie di vita dei pazienti (il lavoro svolto, la scolarità, i tratti della personalità, gli eventi stressanti della vita) aiutano ad evidenziare i fattori di rischio e di protezione della perdita delle funzioni cognitive per cui è indispensabile eseguire studi longitudinali, cioè studi che rivalutano le stesse persone in tempi successivi e non fare l'errore di confrontare generazioni che hanno avuto storie culturali diverse” ha sostenuto Antonio Guaita, geriatra e direttore della Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso presentando lo studio che la Fondazione sta programmando su tutti i residenti di Abbiategrasso nati fra il 1935 e il 1939 - circa 1700 persone – che inizierà a fine 2009. Queste persone saranno valutate sia sotto il profilo biografico che quello biologico e rivalutate ogni due anni. Un gruppo di loro sarà invitato a partecipare ad attività periodiche di stimolo cognitivo e fisico per valutarne gli effetti a breve e a lungo termine.
Sui passi compiuti per migliorare l’efficacia delle possibili terapie è intervenuto Gianluigi Forloni, capodipartimento neuroscienze dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano affermando che “ Quando la malattia di Alzheimer raggiunge l’evidenza clinica il principio biologico responsabile della malattia è iniziato da diversi anni. Se questo rappresenta una difficoltà per l’efficacia delle terapie, indica d’altra parte che è sensata la ricerca di marcatori biologici capaci di monitorare la patologia in fase preclicnica”.
Sulle sfide etiche e deontologiche poste dalla possibilità di riconoscere la malattia di Alzheimer in fase paucisintomatica, cioè allo stadio isolato di disturbo della memoria, si è soffermato Giovanni Frisoni, neurologo e vicedirettore scientifico IRCSS del Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia presentando due casi di comunicazione della diagnosi in cui l’interlocutore non è più solo il familiare ma il paziente che si trova nella piena facoltà cognitiva di cogliere tutti gli aspetti di una diagnosi infausta.
“Se l’Alzheimer fosse solo una malattia da gestire in laboratorio (biologia) i familiari sarebbero lieti di lasciar fare agli altri - ha concluso Gabriella Salvini Porro, presidente Federazione Alzheimer Italia di Milano – ma non è così che stanno le cose. La drammatica complessità di questa malattia rende indispensabile una reale collaborazione tra malati, familiari e medici, perché se questi ultimi ignorano la storia di vita (biografia) ed i bisogni del malato, i suoi punti deboli e quelli di forza, come possiamo studiare una strategia atta a soddisfarli?”
La Federazione Alzheimer Italia, è la maggiore organizzazione nazionale non profit dedicata alla malattia di Alzheimer. Riunisce e coordina 44 associazioni in tutta Italia.
La Fondazione Golgi Cenci si occupa di studi e ricerche sull’invecchiamento cerebrale ed ha sede presso l’Istituto Geriatrico C. Golgi di Abbiategrasso (Milano).
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