Sarà un altro “annus horribilis” per il pianeta Giustizia? In generale, è difficile fare previsioni data la complessità dei problemi che la “macchina” di volta in volta solleva nel dibattito parlamentare (e non solo). C’è però una certezza: per gli avvocati torna il fantasma di Bersani, l’incubo delle sue “lenzuolate” e le frecciate dritte dritte al cuore della professione da parte dell’Antitrust. Che mette i bastoni tra le ruote, al già difficile passaggio della riforma della professione di avvocato approvata dal Comitato ristretto della commissione giustizia del Senato, lo scorso 14 luglio. L’avvocatura già quest’estate aveva fatto sentire i suoi “niet”, forti e condivisi da tutte le sigle della categoria (Cnf, Oua, Anf etc): no alle lenzuolate, perché la professione non può essere vista in maniera mercantilistica; no a tariffe minime derogabili, no all'allargamento indiscriminato per l'accesso alla professione e via da testo il divieto del patto di quota lite. E in effetti la levata di scudi sembrava aver dato i suoi frutti: Il braccio di ferro tra l’Avvocatura e il comitato ristretto della Commissione Giustizia di Palazzo Madama sulla riforma dell’ordinamento forense, poteva dirsi archiviato con un sostanziale pareggio. Le tariffe minime erano tornate “inderogabili e vincolanti”; gli avvocati potevano indicare il titolo di specialista (a condizione però di aver frequentato un corso di formazione biennale). E, soprattutto, poteva dirsi attuata una prima “stretta” all’esercizio effettivo della professione. Per chi nella “pratica” non fa il difensore, era prevista la cancellazione dall’Albo. E poi, quanto all’esame di abilitazione, la riforma stabiliva l’accesso solo ai candidati “vincitori” di una prova di preselezione informatica.
Con la ripresa dei lavori parlamentari, la musica sembra cambiare di nuovo. Non tanto nel Comitato ristretto, visto che la Commissione giustizi intende chiudere presto, quanto per l’ennesimo intervento a gamba tesa dell’Autorità presieduta da Antonio Catricalà. Che, in pratica, “smonta” punto per punto quanto faticosamente strappato dai legali nel fatidico 14 luglio. Professione, tariffe, incompatibilità, pubblicità, potere regolamentare in capo al Consiglio nazionale forense, competenze esclusive: tutto – dice l’Antitrust - limiterebbe la concorrenza e farebbe aumentare i costi a carico dei clienti. Il praticantato così come pensato nel documento congiunto dell’Avvocatura “limiterebbe” per costi e durata l’accesso di “chi è obbligato a svolgerlo”. Meglio, dice il Garante, “ridurre la durata del tirocinio e puntare su corsi di indirizzo professionale, “sostitutivi e non aggiuntivi”. E ancora: l’eccessivo allargamento delle competenze si porrebbe in violazione dell’ordinamento comunitario e, per la pubblicità, “l’uso della locuzione informazione in luogo di pubblicità risulta fuorviante e limitativo”. Insomma per l’Authority, quello che non va è quasi tutto. Troppe le perplessità di natura concorrenziale. Eppure Maria Elisabetta Casellati, sottosegretario alla Giustizia con delega alle professioni che segue i lavori a Palazzo Madama, aveva dato il suo placet alla riforma. Ora il braccio di ferro si misurerà a suon di emendamenti. Il nodo da sciogliere principale è quello che da anni impantana ogni progetto di riforma degli avvocati. Sulle tariffe abolite dal dl Bersani (223/2006) , Il Garante non vuole tornare indietro perché sarebbe “una grave restrizione della concorrenza” visto che “le tariffe fisse e minime non garantiscono la qualità della prestazione”. I legali, invece, continuano a richiamarsi “all’indipendenza, alla correttezza e una adeguata preparazione degli avvocati” che giustificano dei cambiamenti radicali. Nel frattempo siamo alla vigilia dell’avvio dell’esame dei 270 emendamenti presentati. E tutto può ancora succedere. Ma un interrogativo è d’obbligo: se “Liberalizzabile” e“lenzuolabile” a quanto pare non fanno rima con negoziabile, chi metterà un freno alla crescita numerica di una categoria che ha già superato le 200 mila unità?
Daniele Memola, giornalista freelance
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