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domenica 24 giugno 2012

CHEF - recensione



Ci sono molte ragioni per cui un grande attore gira brutti film. Ci sono gli onnivori, come Harvey Keitel o Gérard Depardieu, che danno di matto se non girano almeno 5 film l'anno: per la legge dei grandi numeri è inevitabile che finiscano per inciampare nella porcheriola commerciale o nel finto film d'autore, capita. Ci sono quelli che hanno improvvisamente o perennemente bisogno di soldi: è capitato negli anni '70-'80 ad alcuni seri professionisti italiani, a cui d'un tratto sono piombati addosso gravi problemi familiari, ritrovatisi ad interpretare poliziotteschi di serie Z o inguardabili commedie sexy (adesso per fortuna ci sono le soap in tv); e ce l'ha raccontato con humour e commovente sincerità David Carradine nel suo bellissimo "Kill Bill Diaries" (edito in Italia da Bietti - imperdibile). Perciò non so spiegarmi come l'affascinante Juan Moreno y Herrera Jiménez da Casablanca, in arte Jean Réno, insieme tenero e terrificante in LÉON, che ci ha fatto sbellicare dalle risate in I VISITATORI e ci ha commosso in VENTO DI PRIMAVERA, sia finito coinvolto in QUESTA ROBA!
Come già nel lieve e fresco, e molto più digeribile, JET LAG del 2002 con Juliette Binoche, Jean Réno interpreta uno Chef. Alexandre Lagarde è uno di quelli famosi, è autore di celebri manuali sulla grande cucina tradizionale francese e ha una trasmissione televisiva settimanale. Il suo ristorante ha da sempre 3 stelle sulle guide e lui è ossessionato dall'idea di perderne una; sarebbe un disastro, perché ha firmato un contratto capestro col finanziatore del suo lussuosissimo locale: se perde una stella verrà estromesso dalla società. In realtà il giovane e antipaticissimo socio fa di tutto per ostacolarlo: l'ha "ereditato" dal padre, e vorrebbe sostituirlo con un amico americano specializzato in gastronomia molecolare.
E poi c'è Jacky Bonnot, giovane cuoco abilissimo che venera Lagarde e ne conosce a memoria ogni ricetta; solo che è talmente meticoloso e rompiscatole che finisce per perdere ogni lavoro, riducendosi a lavorare in mense, chioschi e squallidi baretti, ma finisce cacciato anche da lì. Quando la sua compagna gli annuncia di essere incinta si rassegna ad accettare un lavoro di imbianchino in una casa di riposo: naturalmente si infiltra in cucina e in pochi giorni rimpinza i vecchietti di prelibatezze. In momentanea crisi di creatività Lagarde, casualmente in visita, per fortuna lo scopre e lo sceglie come aiuto in vista dell'annuale visita di un famoso critico gastronomico. Dopo varie peripezie naturalmente tutto finirà bene, il giovane sleale finanziatore verrà sbattuto fuori dal padre tornato in sella, l'indaffaratissimo chef si riconcilierà con la figlia fin'ora trascurata e Jacky avrà finalmente un posto sicuro dove dimostrare la sua abilità.
Il film è inesorabilmente brutto e non decolla mai perché è totalmente privo di ispirazione. In realtà è stato costruito su misura per il comico e intrattenitore radiotelevisivo Michaël Youn (un tipo alla Soliti Ignoti insomma) e fa pena vedere il grande Jean Réno, gonfio, impacciato e a tratti irriconoscibile, fare da spalla ad una tale pessima imitazione di attore. Tutta la sceneggiatura è vergognosa, banali personaggini appena abbozzati recitano una serie di scenette malamente appiccicate, i caratteri sono esasperati ai limiti del surreale. La mancanza di parolacce non significa che tutta l'operazione non sia assolutamente volgare e priva di intelligenza. Si tocca il fondo quando i due chef decidono di andare in avanscoperta  nel ristorante del rivale gastronomo molecolare, e per non farsi riconoscere si travestono da .... diplomatico giapponese e sua moglie (!) - roba da far rivalutare analoghi precedenti con Boldi e De Sica. Insomma, per restare nella metafora culinaria, non aspettatevi un succulento canard à l'orange: il massimo che otterrete dalla visione di questo film saranno dei bastoncini di merluzzo malamente scongelati, che vi resteranno inevitabilmente sullo stomaco. (MARINA PESAVENTO)

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