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sabato 26 agosto 2017

Moda Detox. Le aziende d'abbigliamento che investono davvero in un futuro libero da sostanze tossiche

Cosa si intende per Moda Detox e quali sono le aziende d'abbigliamento che investono davvero in un futuro libero da sostanze tossiche?


Greenpeace aggiorna la Sfilata Detox (#DetoxCatwalk), la piattaforma che valuta 19 marchi del tessile, che si impegnano nell'eliminazione di sostanze chimiche pericolose entro il 2020 dalle proprie filiere e nella lotta all'inquinamento delle risorse idriche. Perchè un capo di abbigliamento detox vuol dire in primis un prodotto di primo di sostanze chimiche pericolose. 

Abbiamo incontrato Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento ed è nata un'intervista che, sono certo vi farà scoprire qualche curiosità sui marchi della moda e un uso e consumo più corretto dei vestiti.

Come nasce la campagna DETOX? Come è arrivata Greenpeace ad occuparsi di Moda?

La vita nasce dall'acqua e senza questa preziosa risorsa la vita sulla terra oggi non sarebbe possibile. Le acque del pianeta sono una risorsa estremamente preziosa che va protetta e salvaguardata per le future generazioni. 

Il settore della moda e della produzione di abbigliamento è stato identificato dalla Banca Mondiale come uno dei settori più inquinanti al mondo, responsabile di circa il 20% dell'inquinamento mondiale delle acque del pianeta. 

Da sempre per produrre i capi di abbigliamento che indossiamo ogni giorno vengono impiegate numerose sostanze chimiche pericolose per l'ambiente e altre tossiche per l'uomo. 

Proprio per tutelare "l'oro blu" del pianeta Greenpeace nel 2011 ha lanciato la campagna Detox che si batte per una moda pulita e priva di sostanze tossiche.

Come sono stati scelti gli 11 gruppi di sostanze la cui eliminazione è prioritaria?

Negli 11 gruppi di sostanze prioritarie da eliminare rientrano gruppi di composti utilizzati nel settore tessile e sottoposti a restrizioni nell'ambito delle più importanti convenzioni e regolamenti internazionali (ad esempio la Convenzione OSPAR, la Convenzione di Stoccolma e il Regolamento REACH solo per citarne alcune). 

Successivamente la lista di sostanze da eliminare è andata ad aumentare, arrivando agli oltre 430 composti attuali, includendo altre classi di composti pericolosi per l'ambiente. 

Tra i vari composti da eliminare ci sono gli alchilfenoli etossilati (APEO), sostanze usate abitualmente per sgrassare le fibre naturali come la lana, che una volta immesse nell'ambiente si comportano come interferenti endocrini e vanno a mimare il comportamento degli ormoni causando la femminilizzazione dei pesci. 

Altre sostanze come i PFC, impiegati per rendere idrorepellenti i capi di abbigliamento, possono andare a interferire col sistema endocrino e ormonale ed alcune sono potenzialmente cancerogene per l'uomo.

Come giudicate la risposta che i grandi marchi e l'insieme della moda ha dato alla campagna, avete riscontrato una volontà di cambiare e migliorare?

Il settore, almeno inizialmente, si è mostrato riluttante ad intraprendere un percorso serio e trasparente verso la completa eliminazione delle sostanze chimiche pericolose fatto salvo alcune eccezioni. 

Ad oggi però questo tema è diventato centrale nel settore tanto è vero che circa il 15 per cento della produzione di abbigliamento a livello globale, in termini di fatturato, ha adottato lo standard Detox di Greenpeace. Numerosi prestigiosi marchi internazionali hanno scelto di sottoscrivere Detox, da Valentino a Miroglio, passando per Zara e Benetton, fino ad arrivare ad oltre cinquanta aziende tessili italiane, ventisette delle quali provenienti dal distretto tessile di Prato.

Durante la campagna quali aspetti avete incontrato le resistenze maggiori? Quali ritenete siano stati i risultati più importanti?

La storia della campagna Detox è la storia di una vera rivoluzione in un intero settore produttivo. Pur avendo incontrato resistenze in ogni singola fase Greenpeace, insieme a tutte le persone che hanno partecipato alla campagna, è riuscita comunque a spingere un intero comparto industriale verso un cambiamento radicale. Un esempio eclatante di questa trasformazione è quanto avvenuto recentemente nel settore dell'abbigliamento outdoor. 

Lo scorso febbraio, grazie alla Campagna Detox Outdoor e al supporto di numerosi appassionati di tutto il mondo, Gore Fabrics, il più importante fornitore dell'intero settore e produttore del famoso Gore-Tex, ha scelto di eliminare i PFC pericolosi dai propri prodotti. Questa scelta genererà effetti positivi su tutto il settore, dato che i più famosi marchi internazionali dell'outdoor, da The North Face a Salewa, utilizzano trattamenti in Gore-Tex nei propri prodotti.

Avete pubblicato un report (TimeOut for Fast Fashion) in cui Greenpeace, esprime una condanna inappellabile sul Fast Fashion. Che cosa significa questa per il consumatore finale?

I consumi attuali di abbigliamento vanno oltre quello che il nostro pianeta può sostenere, con costi ambientali che superano di gran lunga il prezzo indicato sul cartellino che troviamo esposto in negozio. Se continuiamo con questo modello di consumo usa e getta, incentivato principalmente dal Fast Fashion, il nostro pianeta diventerà una discarica di vestiti. 

La moda di oggi è già la spazzatura di domani e i numeri purtroppo lo confermano. La produzione globale di vestiti è raddoppiata dal 2000 al 2014, con le vendite che sono passate da un miliardo di miliardi di dollari nel 2002 a 1,8 miliardi di miliardi nel 2015. Si prevede che nel 2025 arriveranno a 2,1. Tra il 1992 e il 2002 il ciclo di vita dei capi di abbigliamento si è accorciato del 50 per cento e nella Ue vengono generate 1,5-2 milioni di tonnellate di indumenti usati ogni anno ma di queste solo il 10-12 per cento viene rivenduto a livello locale. 

Il riciclo purtroppo non è attualmente una soluzione dato che processi efficaci per riciclare fibre sintetiche come il poliestere, presente in circa il 60 per cento dell'abbigliamento, sono al momento impraticabili. È il momento di mettere da parte il consumo usa e getta e ripensare a ciò di cui abbiamo veramente bisogno nei nostri armadi, invece di fare la fila per il prossimo vestito a buon mercato. 

Possiamo indossare i nostri abiti più a lungo, prenderci cura di loro, ripararli, rinnovarli e reinventarli, scambiarli con gli amici e regalarli. È il momento anche per i marchi di moda di reinventarsi e disegnare abiti che siano per noi davvero necessari e piacevoli da indossare, progettati per una migliore qualità, durata e riutilizzo.


Cristiano Fabris

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