Roma - Abbiamo già trattato giorni fa la storia che sconvolse l'Italia nel lontano 1981 , storia da tante generazioni ricordata . La vicenda di quel bambino di 6 anni inghiottito da un pozzo artesiano abusivo. a giugno saranno passati 35 anni e quel set che fu palcoscenico macabro di ciò che fu definito "il primo reality show finito male " non esiste quasi più. il pozzo ricoperto prima da un grosso tubo e poi riempito qualche mese Ortonovo. Se Alfredino Rampi dopo trent’anni è ancora nel cuore di tutti, la memoria del luogo che l’ha inghiottito non è rimasta. Non si è costruita la chiesa di cui si era parlato, non si è realizzato un monumento. Eppure il 10 giugno 1981 un Paese intero seguì i tentativi di soccorrere quel bimbo di sei anni caduto in un pozzo artesiano appena aperto in via S.Ireneo a Vermicino.
Ha fatto bene mamma Franca, che per tenersi in vita, non c’è più tornata. «Purtroppo per un po’ gli abitanti del luogo avevano mantenuto il ricordo, poi il terreno è passato di mano, l’ultimo proprietario ha tolto tutto». Ha fatto bene mamma Franca che non ha perso tempo, ha smesso di mettersi le mani in testa e ha dato vita al Centro Alfredo Rampi, «per non morire mi sono spesa per gli altri, col centro dedicato a mio figlio ho salvato tanti bambini come lui. E ho salvato me».
Vermicino, campagna sconosciuta trent’anni fa, è ormai una succursale della capitale a ridosso dei Castelli romani. Solo nell’area del pozzo maledetto, sulla stradina che la costeggia e la terra che la circonda, il tempo si è fermato, quasi il paese abbia preso le distanze in una sorta di rimozione che ha portato quel luogo simbolo all’abbandono.
Ora il terreno è diventato edificabile, il pozzo è chiuso con un lucchetto, un ulivo è l’unica nota gentile. Per il resto solo sterpaglie, bottiglie, rifiuti, pezzi di bambolotti di plastica. Anche lo sbancamento laterale del terreno è fermo a trent’anni fa. Un piccolo tubo rosso, dove si scorge il disegno di una croce, copre il pozzo in cui cadde il piccolo.
«Prima si vedevano arrivare i pullman dei turisti - ricorda Alfredo Vari che abita nelle vicinanze dal ’92 - quando scendevano si mettevano le mani nei capelli. Chissà che si aspettavano». Ricoperti tutti i pozzi, gli scavi laterali dei soccorritori. Mamma Franca è andata via da un pezzo. Vendette casa anche la nonna. Lontane da quell’incubo, «come può vivere una mamma vicino a un luogo che le ricorda l’urlo di suo figlio?». Lei china sul pozzo col megafono, lei con le mani in testa in mezzo a politici e curiosi, il suo dolore offerto alle telecamere, lei per prima ha messo uno stop. E quando tutto finì, quando un vigile la informò che suo figlio non era più in vita, passò due ore nell’auto del presidente Pertini.
«Dovevo salvare mio figlio, avevo registrato per giorni errori troppo grandi, gli raccontai tutto. Mi disse che era costernato, sbigottito. Due mesi dopo telefonò per dirmi: Signora, dopo quello che è successo e dopo la conversazione con lei, ho deciso di istituire il ministero della Protezione civile».
Ieri Franca Rampi assieme al marito è salita al Quirinale. E’ stata premiata con una medaglia d’oro dal presidente Giorgio Napolitano per il suo impegno con il Centro Rampi. Al termine ha precisato come allora «fu spettacolarizzata l’impreparazione del Paese e la sua disorganizzazione nei soccorsi. Furono commessi diversi errori. Il primo fu quello dei vigili del fuoco di Frascati, che calarono una tavoletta spessa 2 centimetri e che all’altezza di 10 metri dalla superficie si bloccò. Il secondo fu quello di realizzare un pozzo parallelo senza l’analisi di un geologo: generò un allagamento nel pozzo dove era finito Alfredino, fango e smottamenti, che lo fecero sprofondare a 60 metri».
Una «madre coraggio», la definisce Tommaso Profeta, direttore della Protezione civile di Roma, «che ha dedicato la vita a un Centro che porta il nome del figlio, lavorando a fianco delle istituzioni per diffondere la cultura della Protezione civile e migliorare il sistema della prevenzione». Domani il Centro Rampi festeggerà i primi 30 anni di attività organizzando a Villa Gordiani un Villaggio della Prevenzione e della Sicurezza.
A Vermicino, c’è un uomo, sessantenne, che abita dietro la casa dove i Rampi passavano il fine settimana. «Conoscevo Alfredino, lo cercai tutta la notte poi mi dissero che era nel pozzo. Non mi sono mai avvicinato, per mesi nemmeno son riuscito a percorrere via S.Ireneo». Sua figlia era appena nata ma la sua casa divenne il quartier generale delle operazioni: «La Questura si prese la linea telefonica, i primi soccorsi li fecero usando attrezzi miei. Alfredino? Si poteva salvare, qualcosa di meglio si poteva fare. Povera creatura, non mi piace ricordare».
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