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lunedì 23 luglio 2012

L'ESTATE DI GIACOMO - recensione

L'autore ・il trentenne Alessandro Comodin, originario di S.Vito al Tagliamento (Pordenone). Dopo la maturit・si ・trasferito a Bruxelles, dove si ・diplomato in regia ed ha realizzato alcuni documentari e cortometraggi. Questo ・il suo primo lungometraggio, prodotto da FILMS NUS, collettivo di artisti e tecnici belgi, dalla francese LES FILM D'ICI, specializzata in cortometraggi e documentari, e dalla friulana FABER FILM.
Tanto per iniziare: non ・un film drammatico, ma una docu-fiction di 70 minuti interpretata dalla sorella del regista e da alcuni suoi amici. Si comincia con una lunghissima inquadratura di spalle di un ragazzo che esegue pessimamente un assolo di batteria: ・Giacomo, un ragazzo sordo (porta l'apparecchio acustico) - secondo le note di regia ha 18 anni ma non li dimostra; si comporta e gioca come un bambino, al contrario della sua amica d'infanzia Stefania, pi・giovane ma come tutte le ragazzine gi・pi・matura. Seguiamo i due ragazzi durante una passeggiata nei boschi: li seguiamo letteralmente, per almeno una decina di minuti la macchina a mano inquadra la schiena dei due ragazzi che camminano, scivolano imprecando nel fango, inciampano imprecando nelle ortiche. Finalmente arrivano ad una spiaggia lungo il fiume Tagliamento (qui per fortuna l'instabile e oscillante macchina da presa viene posata su di un cavalletto, per la pace di chi soffre il mal di mare), nuotano, giocano, fanno merenda, rinuotano. E se il biascicante ma sboccato Giacomo ・sordo, Stefania ・quasi muta, non parlano di nulla, infilzano qualche banalit・e basta. Serata al luna-park: altra scena "di schiena", stavolta siamo su una giostra "calcinculo", altri 5 minuti di mal di mare; poi un'imbarazzante esibizione di ballo liscio.
Altra scena in riva al fiume (stavolta ci ・stata risparmiata la trasferta), Giacomo e Stefania giocano, si lanciano palle di fango, ma qualcosa ・un po' cambiato, fra loro c'・un'intimit・diversa, pi・adulta. Ancora nella sala della batteria, Stefania suona (malissimo anche lei) e Giacomo canta a squarciagola. Ultima scena ancora lungo il Tagliamento; stavolta non c'・pi・la vecchia amica Stefania ma l'innamoratissima fidanzatina Barbara, anche lei sorda, che si produce nella "recitazione" del pi・melenso, banale e ridicolo monologo d'amore che si sia mai letto dai tempi di Liala (anzi, forse Liala se ne sarebbe vergognata anche lei). Fine.
Sono ancora qui a chiedermi che cos'hanno trovato di cos・meritevole i produttori di questo orrore (a parte la Regione Friuli-Venezia Giulia che si ・procurata uno spot pubblicitario per la sua splendida natura) e poi tutti quelli che l'hanno selezionato per una ventina di festival fino a premiarlo, e i critici che l'hanno osannato. La sceneggiatura ・pressoch・inesistente: i protagonisti sono dei non-professionisti a cui ・stata data una traccia con la raccomandazione di "essere naturali". Ma proprio perch・non-professionisti non hanno la minima idea di quello che ・l'improvvisazione, fanno se stessi e basta. Il regista, e unico operatore, non fa il regista, si limita a documentare passivamente quello che ha davanti agli occhi, con riprese da vecchio Super8 assolutamente dilettantesche, inquadrature sghembe, dialoghi fra due persone alla pi・alta delle quali viene semplicemente segata la testa; niente controcampi, minuti interi di macchina fissa (e se gli attori escono parzialmente dall'obiettivo chisseneimporta) alternati non a piani sequenza, ma alla macchina che schizza istericamente di qua e di l・per cogliere i movimenti dei personaggi. In sede di montaggio molti difetti avrebbero potuto essere corretti, ma volutamente non ・stato fatto, per mantenere l'aspetto "naturale e grezzo" dell'operazione.
L'intento di raccontare con freschezza l'evoluzione sentimentale di un adolescente ・miseramente fallito, il risultato ・noioso, banale, dilettantesco: in definitiva brutto in maniera irritante. Per mia fortuna ・durato solo 70 minuti.  (MARINA PESAVENTO)

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