Nella produzione di Lerici, UN BANALE INCIDENTE appare come un fatto a sé stante, quasi un'eccezione, ma è tale da costituire una di quelle occasioni felici di cui, credo, il teatro italiano ha sempre più bisogno.
Questo testo vive (è l'impressione che ho ricevuto a una prima lettura) di una sua particolare scintillante agilità, in una luce che è cangiante. Uno strano "mostro", nel senso del latino monstrum, fenomeno, accidente.
Di fatto è una commistione riuscita di vari ingredienti: Varietà, Monologo, Commedia Dell'Arte, Commedia comica, Racconto noir alla Edgar Allan Poe, Giallo con suspence e, infine, Dramma Psicologico.
Si potrebbe affermare che il "Lungo prologo" e il "Primo Atto" formino insieme la Commedia; il "Secondo Atto" è un Dramma Psicologico.
Tutte queste cose cucite insieme formano una COMMEDIA: bizzarra e stravagante finché si vuole, ma agile, accattivante e addirittura commovente.
Nel testo rimane in ogni caso prevalente la forza illusoria in quanto motore dell'azione, elemento dinamico della rappresentazione scenica fondata sull'alternarsi di inganno (nel senso di fictio, finzione) e disinganno.
Il tema di Lerici non è la teatralità della vita, ma la teatralità del teatro che precede la vita e, in questo caso, anche la morte.
Note sullo spettacolo
UN BANALE INCIDENTE si può inserire nella vasta ed eclettica produzione teatrale di Lerici, quale ideale continuazione di un altro testo che ebbe grande successo alle fine degli anni Settanta: BAGNO FINALE. Questa volta non si tratta di un monologo, ma di una commedia in due atti per due attori, scritta negli anni Novanta e a tutt'oggi mai rappresentata.
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LA STRUTTURA
Nella produzione di Lerici, UN BANALE INCIDENTE appare come un fatto a sé stante, quasi un'eccezione, ma è tale da costituire una di quelle occasioni felici di cui, credo, il teatro italiano ha sempre più bisogno.
Questo testo vive (è l'impressione che ho ricevuto a una prima lettura) di una sua particolare scintillante agilità, in una luce che è cangiante. Uno strano "mostro", nel senso del latino monstrum, fenomeno, accidente.
Di fatto è una commistione riuscita di vari ingredienti: Varietà, Monologo, Commedia Dell'Arte, Commedia comica, Racconto noir alla Edgar Allan Poe, Giallo con suspence e, infine, Dramma Psicologico.
Si potrebbe affermare che il "Lungo prologo" e il "Primo Atto" formino insieme la Commedia; il "Secondo Atto" è un Dramma Psicologico.
Tutte queste cose cucite insieme formano una COMMEDIA: bizzarra e stravagante finché si vuole, ma agile, accattivante e addirittura commovente.
Nel testo rimane in ogni caso prevalente la forza illusoria in quanto motore dell'azione, elemento dinamico della rappresentazione scenica fondata sull'alternarsi di inganno (nel senso di fictio, finzione) e disinganno.
Il tema di Lerici non è la teatralità della vita, ma la teatralità del teatro che precede la vita e, in questo caso, anche la morte.
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IL LINGUAGGIO
Si trovano in UN BANALE INCIDENTE tutti i motivi dominanti della produzione di Roberto Lerici, qui concentrati in un unico copione e sviluppati, precisati, portati avanti sino a raggiungere un'incandescente incisività.
L'uso del linguaggio, prima di tutto: il gusto per la parola virgolettata; il rosario dei sinonimi, ognuno sufficientemente discosto dall'altro per poter permettere inserimenti eccentrici e grotteschi; lo sfarfallare tra vocaboli colti e apporti dialettali, presi in prestito dal vocabolario più becero; l'accumulare, accanto a sinonimi o in sostituzione ad essi, rime beffarde nella loro voluta stupidità o assonanza astrusa. Per non parlare, poi, dei frequenti rimandi ai lazzi anche scurrili dell'avanspettacolo.
Tutto questo, non come passeggiata in vertiginoso equilibrio sulla corda tesa del lessico e della parola, ma come strumento primo, cardinale del discorso drammaturgico.
Le parole ti travolgono come una cascata, ma la loro ragione d'essere è precisa, la loro presenza funzionale. Il ritmo del racconto procede a ondate che si rifrangono sugli spettatori.
Setacciatore incuriosito di materiali in sé illeggibili, Lerici raccoglie meticolosamente i granelli più preziosi, li porta sulla pagina, li manipola, li deforma, li tramuta in trampolini di lancio verso fascinose avventure verbali. Con inchini e mazzi di fiori a Gadda, Sterne e all'amato Rabelais.
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LA STORIA
In UN BANALE INCIDENTE viene narrato l'appassionante "viaggio" nella notte di un uomo, o meglio, di un attore dei nostri giorni.
Tutto accade in una notte, appunto, e tutto accade per caso, così sembra.
Il pubblico ha già preso posto in platea, mancano pochi minuti all'inizio dello spettacolo. Quando il sipario si apre, il palcoscenico è deserto, la scenografia è ancora tutta da montare, i riflettori sono buttati a terra.
Veniamo a sapere dal nostro protagonista che gli attori della compagnia e il camion con le scene sono bloccati da qualche parte, a causa di un banale incidente.
Superati i primi momenti di imbarazzo, il nostro attore instaura col pubblico un rapporto privato.
Inizia così un viaggio che ci conduce all'interno dell'immaginario, in un gioco pirotecnico acceso dalla fantasia del protagonista. Per compiere questo viaggio l'attore si servirà delle "maschere" di personaggi famosi e no, presi in prestito alla storia, alla letteratura, al mito o al mondo del teatro, osservato qui con affetto in ogni sua piega: contraddizioni, vezzi, utopie ecc.
Il palcoscenico, su cui poggiano sconnesse tracce di precedenti spettacoli, si affolla ben presto di ombre, si popola di figure di contorno, che ci appaiono all'improvviso, si gonfiano per poi esplodere alla più lieve puntura di spillo.
E' ormai notte fonda. Fra i tanti personaggi evocati o immaginati, irrompe sulla scena, con tutto il fracasso del suo sgangherato motorino, Donatella, una giovane aspirante attrice: è il tipico esempio della new wave dei teatrini romani che sogna - perché no?! - di affermarsi in televisione o magari in qualche teatro off Broadway. Finché, ad un certo punto della notte…
Nella seconda parte dello spettacolo tra l'uomo - di cui non conosceremo mai il nome – e i suoi "sogni" (la madre, la moglie che tenterà di uccidere ecc.) il gioco si spingerà oltre l'immaginario, fino al sorprendente finale. E ancora una volta ci rendiamo conto che il riso, la cui potenza eversiva permette di guardare in faccia la crudele assurdità della vita e della morte, che travolge invece chi non è capace di ridere, nasce spesso dalla sconsolata e ferma consapevolezza del male, del disagio.
Il nostro personaggio è implacabile, ma anche ricco di tenerezza: sa amare la vita, senza nascondersi le sue "maschere" insopportabili; sa scorgere la totalità contraddittoria dell'esistenza, che comprende bene e male, incanto e sfacelo, menzogna e verità, crudeltà e amore.
E, alla fine, è come se sopra quel palcoscenico "invaso" da ritagli di storie, un'improvvisa ventata avesse imposto un suo ordine impercettibile.
L'arte di Roberto Lerici è fatta anche di questo: di vento, di squarci colorati, di illusioni comiche.
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