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giovedì 17 gennaio 2008

Lettera di Attilio Corsini al Messaggero






Il Teatro Vittoria sta attraversando un periodo difficile, come molti altri spazi a Roma.

Il nostro Direttore Artistico ha scritto più volte agli Enti Locali, cercando di aprire un dialogo costruttivo sulla Cultura nella nostra città, sul ruolo del teatro nel territorio e la sua funzione pubblica. Purtroppo senza risposta.

Oggi ha pubblicato una lettera su Il Messaggero di Roma.

Roma, 14 gennaio 2008

Al Sindaco di Roma Walter Veltroni

Al Presidente della Regione Lazio Pietro Marrazzo

Al Presidente della Provincia di Roma Enrico Gasbarra

e p.c. al Ministro per i Beni Culturali Francesco Rutelli

Vi chiedo scusa, ma ho proprio bisogno di parlarvi. Amo la discrezione e non vi ho mai disturbato in alcun modo, ma comincio a sospettare che non vi siano mai state recapitate le mie due precedenti lettere, una delle quali risale ormai ad un anno fa, altrimenti avrei certamente avuto una risposta. Non amo il chiasso, né lanciare grida di dolore, ma sento il dovere di comunicarvi, in quanto autorevoli rappresentanti delle nostre Istituzioni, che palesemente e dolorosamente impossibilitato a reperire le risorse finanziarie per evitare la chiusura del Teatro Vittoria, ho deciso di dimettermi dalla direzione artistica del medesimo.

Vi starete chiedendo il perché di questa notifica, visto che il Vittoria non è un teatro pubblico, bensì soltanto un teatro privato. Qual è la differenza?

La struttura che dirigo, la Cooperativa Attori e Tecnici, riceve da 31 anni i contributi dello Stato, ed è anche con un contributo dello Stato che 22 anni fa abbiamo costruito il Vittoria, che il Ministero dello Spettacolo ha poi riconosciuto Teatro Stabile di Interesse Pubblico. Che vuol dire: un'azienda senza fini di lucro, un teatro al servizio di un territorio, con una compagnia stabile, un centro culturale che svolga attività di promozione, che dia spazio a giovani autori e a giovani attori, che abbia personale a tempo indeterminato artistico, tecnico ed amministrativo.

Siamo davvero privati?

I Teatri Stabili di Interesse Pubblico riconosciuti dallo Stato sono due per ogni Regione, e tutti, dal Piemonte alla Sicilia, hanno avuto dagli Enti Locali il riconoscimento della pubblica funzione attraverso delle convenzioni. Ovunque, tranne nel Lazio.

Unico caso in Italia di un teatro costruito da una compagnia senza alcun intervento degli Enti Locali, al Vittoria venne riconosciuto il merito di aver bonificato un territorio, di aver vivificato il quartiere Testaccio. Fin dal suo nascere è stato un teatro fortemente innovativo con un modo originale di promuoversi ed una programmazione riconoscibile che si giovava della presenza di compagnie internazionali. E' stato un punto di riferimento per drammaturghi e giovani attori usciti dal Centro Sperimentale o dall'Accademia, con la quale ha spesso collaborato. Ha organizzato festival internazionali, rassegne, iniziative per giovani ed anziani e ha ideato manifestazioni estive di grande partecipazione popolare. Un teatro libero ed indipendente, aperto alle novità e agli artisti in cerca di uno spazio.

Vi sembra privato? Per noi no, ma certo è di "disinteresse pubblico" . Infatti la nostra città, tutta proiettata verso grandi eventi e grandi numeri, per i teatri di prosa che non siano di propria emanazione dimostra da tempo scarso interesse. Non ci si è mai preoccupati di costruire un sistema teatrale complessivo, ma sempre più si sente parlare, e qualche volta sparlare, di una egemonica espansione di tutto ciò che è controllato e finanziato totalmente dalla pubblica amministrazione. Il Teatro Argentina che acquisisce il Valle, la "Riva dei Teatri" accanto a India, i Teatri di Cintura ecc. ecc.

Quanti investimenti e quanti soldi per il teatro, meno male! Si ha sempre più la sensazione che siano considerate serie ed importanti solo le iniziative e le realtà organizzate e create dalla Pubblica Amministrazione nei propri spazi. Ma tutti gli altri teatri? Quelli che vengono definiti "privati" non svolgono anch'essi un'attività meritoria nell'interesse dei cittadini? Non accolgono anch'essi gli artisti? Ma se non vengono considerati parte di un sistema complessivo, come potranno reggere la concorrenza di questa grande macchina di spettacolo pubblico dove nessun operatore rischia i propri soldi o il proprio posto di lavoro? E occuparsi del " resto del teatro ", del resto dello spettacolo dal vivo, non può risolversi soltanto nell'emettere un bando comunale o regionale per dare un " aiutino".

E' strano che tutto ciò accada proprio nella città dove la cultura teatrale è rinata ed ha avuto le sue stagioni migliori grazie ai capocomici ed al teatro privato. Perchè rileggendo la storia ,fino ad arrivare all'attualità, non si può certo dire che il Teatro Pubblico abbia svolto a Roma quel ruolo centrale che ha avuto in città come Milano, Genova o Torino.

Se c'è stato buon teatro e la formazione di un nuovo pubblico lo si deve alle magnifiche stagioni del Teatro Eliseo di Valli e De Lullo, al Sistina di Garinei e Giovannini, alle grandi compagnie capocomicali che transitavano al Valle o al Quirino o a quella straordinaria macchina di teatro popolare che è stato il Teatro Tenda di Carlo Molfese . E privata è stata la rivoluzione teatrale dei geniali inventori del teatro sperimentale nelle cantine romane.

Purtroppo i nostri artisti più carismatici non sono , come quelli di allora, sul ponte di comando del teatro, non rischiano in prima persona. Preferiscono farsi pagare bene e vivere tranquilli. I giovani paiono soltanto alla ricerca di un successo facile. Il nostro settore ha perso identità e rappresentanza e si è consegnato alla politica che oltre a dettarne da sola le regole esercita anche la direzione artistica.

In questa situazione il Vittoria, Teatro Stabile di Disinteresse Pubblico, sta perdendo la sua identità, sta progressivamente rinunciando alla sua funzione di servizio nei confronti del proprio territorio, a tutte quelle iniziative gratuite per i giovani o per gli anziani. Non può più permettersi di rischiare su nuovi autori o su compagnie giovani. E un teatro che non può investire, che non può sperimentare , costretto a vivacchiare fino a spegnersi che senso ha?

Ho imparato questo nobile mestiere studiando e lavorando con i Tofano, Buazzelli, Gassman, Streheler, Paolo Grassi, Ivo Chiesa, Mauro Carbonoli, Glauco Mauri, Enriquez e tanti altri signori del teatro i quali mi hanno insegnato che il nostro è un lavoro di grande responsabilità culturale, sociale e civile e in questa direzione ho sempre agito con i colleghi della Cooperativa, mai preoccupandomi del profitto personale.

Non abbiamo indetto conferenze stampa per gridare aiuto. Il Vittoria non vuole un"aiutino", chiede pari dignità del teatro pubblico e la giusta considerazione della funzione che svolge nell'interesse della città.

Vi sto comunicando le mie dimissioni irrevocabili perché considero il Vittoria un patrimonio della città , alla quale non è mai costato nulla, e che ora , credo, abbia il dovere di occuparsene.

Dopo 31 anni lascio un'azienda teatrale sana, senza debiti, che non ha mai ritardato gli stipendi, che sviluppa 7500 giornate lavorative all'anno, e che da lavoro, tra soci e dipendenti, attori e tecnici, ad una media di 110 persone. Più tutto il lavoro indotto. Un' azienda con pochi mesi di vita.

Lascio un teatro con un'identità riconoscibile ed una storia, e un pubblico affezionato. Con una compagnia stabile, così stabile, come il Teatro Stabile non ha mai avuto.

Per me, forse, è arrivato il momento, dopo tutta una vita di lavoro intenso, rischiando in prima persona, di cercare un altro posto, forse in un teatro pubblico. Perché se sei statale, come dicevano i nostri nonni, sei garantito.

Cordialmente

Attilio Corsini






Da: Teatro Vittoria News <newsletter@teatrovittoria.it>
A: ildabella@yahoo.it

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