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sabato 15 luglio 2006

LO "SCANDALO" DELLE "MAGLIETTE MAFIOSE" DIPENDE TUTTO DALLA SOTTOCULTURA ITALICA IMPOSTACI

MOVIMENTO PER L'INDIPENDENZA DELLA SICILIA
fondato nel 1943


- CUMUNICATU STAMPA -

LO "SCANDALO" DELLE "MAGLIETTE MAFIOSE" DIPENDE TUTTO DALLA SOTTOCULTURA ITALICA IMPOSTACI

È subito un'alzata di scudi contro le magliette filo-mafiose apparse già dal alcune settimane in vetrine e bancarelle di Palermo e non solo. Le frasi apparentemente apologetiche rispetto al fenomeno mafioso hanno ingenerato rapida l'indignazione di ampie fette del panorama politico italiano, che ha condannato senza mezzi termini gli autori di questo singolare "merchandising mafioso".

Il materiale, effettivamente di cattivo gusto e dubbio intento, tende a proporre la mafia e la mafiosità in termini scherzosi ed ironici, quasi a voler rendere simpatico e presentabile un fenomeno che attanaglia e uccide il Popolo Siciliano sin dall'alba dell'invasione garibaldina. Noi indipendentisti siciliani, che combattiamo tenacemente ogni forma di mitizzazione della mafia (mitizzazione cui è molto servita l'inspiegabilmente lunghissima latitanza del boss Provenzano, tanto "imprendibile" lui quanto apparentemente "imbattibile" sarebbe la mafia, piuttosto destinata a sparire come preconizzato dal martire Giovanni Falcone), non possiamo che auspicare il ritiro dal commercio di questi capi d'abbigliamento. Ma non ci si può fermare a questo semplice atto.

In realtà è necessario capire cosa porta, sempre più frequentemente, a simili fenomeni, commerciali e non, di riproposizione scherzosa e giovanile del linguaggio e degli stereotipi più fortemente legati alla mafia.
Ciò accade perché i nostri giovani creativi provengono, inevitabilmente, da quel sottostrato culturale di matrice italiota e risorgimentalista che qualunque siciliano scolarizzato in Sicilia ha dovuto ineluttabilmente subire in forma di incessante ed immanente propaganda.

Di fatto, la "sete di identità" dei giovani siciliani, in specie degli artisti e dei creativi, nell'assoluta impostagli ignoranza delle proprie radici culturali, delle proprie tradizioni, finanche della propria stessa lingua (il Siciliano, internazionalmente riconosciuto come idioma del tutto indipendente da qualsiasi altra lingua romanza), va a riversarsi su quegli unici referenti culturali "locali" che il regime mediatico italiano e la propaganda assimilazionista gli hanno fornito: quelli riferibili al microcosmo mafioso. Che, contrariamente a quanto si pensa e dice, ha fatto propri espressioni ed usi tipici della millenaria civiltà siciliana, invece che averli trasferiti ai Siciliani. E che è veramente «made in Italy», come recita la più incriminata delle magliette, essendo la mafia uno strumento di oppressione coloniale tutto italiano, nata sotto i Borbone e rafforzatasi stabilmente con la nascita dello Stato Italiano.

In questa chiave dobbiamo sempre tener presente tutte quelle manifestazioni mediate le quali la "cultura ufficiale" impone la sua artefatta "verità ufficiale": si va dai libri di storia alle guide turistiche passando per depliants e trasmissioni televisive, dove ineluttabilmente si disegna una "Sicilia subìta", mai libera ed indipendente, priva di una lingua e di una cultura, sempre "dominata" e sempre mafiosa.

Quando è altresì vero l'esatto contrario: una lingua, un popolo, una storia di oltre sette scoli di statualità ed indipendenza del Regno di Sicilia, una letteratura, una identità ed un orgoglio nazionale mai del tutto sopiti o cancellati caratterizzano la Nazione Siciliana.

E di questo, scavalcando tutte le sue artificiose sovrastrutture culturali imposte, in molti, soprattutto giovani, sono sempre più consapevoli. Perché è lampante che, tolto il Ponte sullo Stretto (che mai sarà), la pastasciutta, la squadra di calcio italiana e la televisione (con le sue imposizioni linguistiche e pregiudiziali che fanno della Sicilia una periferia e del siciliano non assimilato una "macchietta"), per i giovani siciliani che oggi conoscono la rinascita dell'Irlanda e della Catalogna non è difficile capire infine l'identità e la fierezza della loro stessa terra.

E, nonostante le Università (come auspicato dal procuratore antimafia Piero Grasso) siciliane non accennino a voler attingere ai benefici risvolti della spontanea ed irrefrenabile riscoperta di questa identità, anche in chiave proprio di merchandising come in uso presso i principali atenei anglosassoni, anzi, preferiscano rimanere dei "centri di potere" politico e propagandistico, non mancano le iniziative artistiche, culturali, musicali basate sulla sicilianità. Anche nell'abbigliamento: si vedano ad esempio i capi firmati dall'Associazione Culturale "Lumia" o si cerchino sul noto portale di aste on-line Ebay le parole "Sicilia t-shirt": non mancano anche quelle simpaticamente ironiche sul rilassato e riflessivo "Sicilian way of life" magnificato in una recente intervista anche dal noto musicista e compositore Franco Battiato.

Certo, iniziative trascurate dai media dominanti, spinti sempre più dalla compulsiva commercializzazione dell'informazione eclatante, e quindi ignorate o tutt'al più tacciate di essere «sintomo di un degenere localismo» dal mondo politico italiano, sempre più slegato dalla realtà contingente.
Ma che non mancheranno di produrre i loro risvolti anche in chiave sociale e politica, nel segno di quell'impegno, culturale e civico, che il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia vuole "imprimere" sulle proprie t-shirts, prossimamente in vendita sul proprio sito www.siciliaindipendente.org

Con messaggi di certo più forti e pregnanti della frase che il Presidente della Regione, Cuffaro, ha voluto riesumare proprio nelle ultime ore come possibile "slogan da maglietta": quel «la mafia fa schifo» cui però, in bocca a certi personaggi, sembra sempre inevitabilmente dover dare seguito ad un pernicioso «ma...»

Catania, 15 giugnettu 2006

A cura dell'Ufficio Stampa, Comunicazione e Propaganda del M.I.S.


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«Noi vogliamo difendere e diffondere un’idea della cui santità e giustizia siamo profondamente convinti e che fatalmente ed ineluttabilmente trionferà».

Andrea Finocchiaro Aprile, 1944

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