CASTELLABATE - Errori ortografici, geroglifici e obbrobri vari dell'editoria 2.0 ovvero l'era di internet e il tramonto dei grandi giornali su carta stampata. Spesso mi è capitato di leggere sotto i miei editoriali in vari post di commento che avrei commesso errori ortografici e anche inesattezze questo accade a tutti succedeva anche ai grandi come Enzo Biagi o Indro Montanelli . Il fatto che questo capita a Marco Nicoletti blogger non giornalista editorialista non grandissimo nome della cultura giornalistica internazionale fa sicuramente comodo sottolinearne gli errori. Noi blogger come molti giornalisti moderni siamo sempre in giro quindi i nostri articoli spesso riscriviamo Santo tablet smartphone ovviamente di ultima generazione collegati appunto alle nostre testate ed ai i propri server. Quindi questi errori non sono frutto di ignoranza perché la scuola l'abbiamo frequentata e se poi non siamo stati alla Bocconi ci riteniamo comunque delle persone intelligenti e con il diritto e anche il dovere di fare informazione civica pubblica o semplicemente di espletare le proprie convinzioni in pubblica piazza.
Ma vogliamo prendere la palla al balzo partendo dalle sterili critiche di paese di provincia , parlando e riportando dati interessanti che partono da tanti colleghi europei e italiani che scrivono su testate all news molto più rilevanti di un povero cristo come quello che vi sta scrivendo. È stata realizzata una tabella dei più frequenti errori ortografici editorialista si e la riportiamo di seguito.
Che il giornalismo sia un mestiere frenetico e dunque soggetto a errori, è cosa nota a tutti i professionisti della comunicazione. Fino ad ora, almeno in Europa, non era ancora stato chiarito con quale frequenza le redazioni commettessero errori e mettessero in circolazione articoli inesatti. Ora almeno per la Svizzera tedesca e per l’Italia abbiamo dei primi numeri che fanno drizzare le orecchie.
Anche i risultati ottenuti per gli Stati Uniti, dove questo genere di ricerca vanta una più lunga tradizione e dunque i dati di arrivo sono più prevedibili, sono riusciti, se non altro nella quantità, a sorprendere persino i giornalisti della “vecchia guardia”:
* Quasi metà degli articoli analizzati (46%) contiene errori. Fu un professionista di frontiera, a cavallo tra il giornalismo e la pubblicistica, come Mitchell Charnely a giungere a questa sconvolgente conclusione nel lontano 1936, nel suo studio pionieristico sulla credibilità e l’inclinazione a commettere errori dei quotidiani americani.
* Oggi si lavora in maniera ancora più negligente, rispetto al passato. Il 61% degli articoli di cronaca e di approfondimento prodotti in redazione contiene almeno un errore – a quanto afferma Scott R. Maier (2005) della University of Oregon, nel maggiore studio su questo tema pubblicato fino ad oggi in America. Per coloro che hanno seguito da vicino il crollo della credibilità dei media statunitensi e i tagli che le redazioni hanno dovuto subire, questo dato non sarà affatto sorprendente.
Il lavoro di Scott Maiers è stato il punto di partenza di un progetto di ricerca su “Esattezza e Credibilità dei contributi pubblicati nei quotidiani regionali in Svizzera e in Italia”, finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero. Lo scopo era quello di rilevare la propensione agli errori negli articoli di alcuni giornali regionali selezionati e di riuscire a capire come le mancanze a livello di contenuti giornalistici si possano ripercuotere sulla credibilità del giornalismo stesso.
Nella parte empirica del progetto, al fine di esaminare l’accuratezza dei contributi pubblicati, di volta in volta, sono state interrogate le fonti di informazione citate dai giornalisti. A questo scopo da cinque quotidiani regionali per la Svizzera tedesca e per l’Italia, ogni 1000 articoli sono stati setacciati dei campioni e sono state identificate le personalità che venivano indicate come fonte principale. Quindi le abbiamo intervistate per iscritto, al fine di identificare gli errori e di riuscire a suddividerli in diverse categorie.
Per garantire la comparazione dei dati, il metodo scientifico adottato era basato sullo studio pionieristico di Charnley e Maier. Già la percentuale di ritorno dei questionari è stata particolarmente indicativa: in Svizzera si attestava intorno al 50%, mentre in Italia non arrivava neanche al 15%. (Considerando la percentuale molto bassa di risposte ricevute per l’Italia, i risultati presentati nel presente articolo devono essere considerati orientativi). Al contrario Maier negli Stati Uniti riuscì ad ottenere il 68% di risposte.
I risultati emersi dai questionari mostrano che – a nostro avviso sorprendentemente – le fonti interrogate in Svizzera hanno identificato un numero maggiore di sbagli negli articoli pubblicati nella Confederazione che in quelli usciti in Italia o negli Stati Uniti. Gli intervistati hanno lamentato errori sostanziali, ossia i cosiddetti hard errors, come l’ortografia sbagliata dei nomi propri, l’indicazione errata del luogo di un avvenimento o citazioni inesatte nel 60% degli articoli svizzeri, nel 52% di quelli italiani e nel 48% di quelli americani. Vale a dire in “solo” metà di tutti gli articoli selezionati.
La percentuale inferiore di errore registrata negli Stati Uniti può essere facilmente spiegata. Da un lato, è da ricondurre a una diversa organizzazione delle redazioni dei quotidiani: i giornalisti svizzeri e quelli italiani godono di una maggiore autonomia redazionale, il ruolo del “reporter” e quello de “l’editor” non sono separati, come avviene invece negli Stati Uniti e a questo si aggiunge un controllo meno serrato dei singoli giornalisti.
Anche le rubriche riservate alle correzioni, normali negli Stati Uniti, contribuiscono a evitare gli errori, poiché sensibilizzano i giornalisti. Infatti, non piace a nessuno ammettere pubblicamente di aver commesso delle inesattezze e di essere messo “in ridicolo” davanti agli altri colleghi.
Al contrario, la percentuale di errori limitata, rispetto alla Svizzera, rilevata in Italia, continua a rimanere un enigma. Da quanto ci risulta, le testate regionali svizzere a livello redazionale sono organizzate meglio rispetto a quelle italiane. Per questo risultato inatteso abbiamo a disposizione due spiegazioni plausibili: è possibile che le fonti italiane abbiano scoperto una quantità inferiore di errori negli articoli, per il fatto che i giornalisti italiani con maggiore frequenza dei colleghi svizzeri “copiano e incollano” i testi delle pubbliche relazioni.
Dunque questi ultimi, anche nel caso si sforzassero di redigere correttamente i propri articoli il loro lavoro rimarrebbe, in ogni caso, più esposto agli errori. D’altro canto, potrebbe anche essere possibile che le fonti svizzero-tedesche siano state più puntigliose nella valutazione rispetto agli intervistati italiani – ossia che abbiano aspettative più alte in tema di accuratezza degli articoli. (Poiché il nostro interesse primario non era focalizzato sull’analisi dei diversi livelli di aspettativa delle fonti, anche lo strumento di rilevazione non è stato orientato su questa problematica. Di conseguenza, a questo proposito abbiamo scelto di non fare alcuna affermazione precisa).
Gli intervistati hanno lamentato piuttosto spesso un certo numero di errori fattuali: titoli sensazionali, che non rispecchiano la dimensione degli avvenimenti reali, citazioni inventate, numeri riportati in maniera errata ed errori di ortografia (cfr. tabella).
Errori fattuali | USA | Svizzera | Italia |
| in % | in % | in % |
Citazione riportata in maniera errata | 21.00 | 26.50 | 22.10 |
Titolo impreciso | 14.7 | 26.6 | 26.6 |
Numeri inesatti | 12.9 | 12.4 | 14.9 |
Errori di ortografia | 10 | 12.9 | 13.6 |
Qualifica professionale errata | 8.5 | 11.6 | 13.6 |
Ortografia errata dei nomi | 3.4 | 8 | 7.8 |
Indirizzo inesatto | 1.7 | 2.7 | 2.6 |
Età inesatta | 1.4 | 2.6 | 1.5 |
Luogo dell’evento inesatto | 2.7 | 3.1 | 3.9 |
Ora dell’evento inesatta | 2.2 | 4.3 | 3.9 |
Data inesatta | 2.2 | 3.1 | 2.6 |
In Svizzera e in Italia, gli intervistati hanno denunciato un numero evidentemente più alto di errori per ogni categoria rispetto agli Stati Uniti, fatta eccezione dell’indicazione dei numeri errati. In linea generale, è strabiliante il modo in cui i risultati si assomigliano. La tendenza a commettere errori sembra essere un problema diffuso del giornalismo e anche il tipo di sbagli supera qualsiasi confine culturale. L’influenza delle particolarità degli stili giornalistici dei singoli sistemi di comunicazione mediatica sembra dunque essere a questo punto meno rilevante di quanto ipotizzato in precedenza.
Nei casi in cui le fonti hanno misurato anche la gravità degli errori rilevati, ancora una volta abbiamo ottenuto un quadro sorprendente: su una scala Likert da 1 (errore lieve) a 7 (errore grave), in media gli svizzeri hanno attribuito agli errori un punteggio di 2,5, gli errori erano giudicati dunque meno gravi a confronto con le fonti italiane (2,7) o statunitensi (2,8).
Anche la disponibilità delle fonti a fornire nuovamente informazioni in Svizzera è evidentemente più alta (56%) che in Italia (38%) o in America (36%).
Se analizzate insieme queste due scoperte, avvalorano la nostra interpretazione, in base alla quale, le fonti svizzere hanno avuto un approccio più serio e, di conseguenza, hanno elencato anche gli errori non sostanziali più spesso rispetto agli italiani; tuttavia, sono anche consapevoli dell’irrilevanza di tali “mancanze” giornalistiche, tanto che non minano né la loro disponibilità a renderne conto né la credibilità del giornale.
Nonostante l’alta percentuale di sbagli, la fiducia nei quotidiani è rimasta quasi invariata: su un’altra scala di 7 punti, dove 1 significava non attendibile e 7 molto attendibile, in Svizzera gli intervistati hanno classificato i quotidiani locali come molto attendibili (5,5), nonostante questi avessero riportato la percentuale più alta di errori. Le testate statunitensi hanno ottenuto 5,1 e quelle italiane 5,2 punti.
Per quanto riguarda il numero di errori, la conclusione della ricerca è chiaramente negativa: nei paesi oggetto di studio, un articolo su due contiene almeno un errore – o almeno un errore di troppo. Tuttavia non tutti sono così gravi, da ripercuotersi in maniera diretta e negativa sulla credibilità delle testate.
Ciononostante, le redazioni dovrebbero confrontarsi con il tema dell’accuratezza dei contributi giornalistici in maniera evidentemente più mirata, soprattutto in un’era di crescente digitalizzazione dell’informazione. Senza dubbio, la soluzione migliore è quella di evitare gli errori. Proprio nel frenetico universo digitale, il giornalismo serio è contraddistinto – come già da anni aveva ammonito il “pioniere” della ricerca sugli errori nei paesi di lingua tedesca, Bernd Wetzenbacher – da redazioni che imparano a gestire i propri errori in maniera adeguata.
Di possibilità ce ne sono molte e, già da tempo, i media anglosassoni fanno scuola: i correction corner, gli angoli delle correzioni, in cui gli errori vengono rettificati volontariamente e in maniera attendibile; le note dell’editore che servono a spiegare, almeno a posteriori, le mancanze più gravi e gli ombudsman, una sorta di difensori civici, che funzionano da istanze di ricorso e scovano sistematicamente gli errori. Tutte queste strategie potrebbero rappresentare dei punti di partenza per elaborare una strategia credibile per affrontare gli errori nel giornalismo.
Marco Nicoletti
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