L’amore tra Loretta Goggi e il compianto Gianni Brezza è uno di quelli. Perché durante la lunga intervista Loretta accarezza sempre il nome e il pensiero del marito nelle sue risposte. Perché Gianni per lei non è un ricordo, ma una presenza viva.
Dopo mesi di annichilimento («non mangiavo più, non dormivo più, non uscivo più») Loretta è tornata non solo a vivere, ma a essere nuovamente protagonista della tv, con il varietà rivelazione dell’anno «Tale e quale show», dove ricopre il ruolo di giurata accanto a Christian De Sica e Claudio Lippi.
«Carlo conosceva bene Gianni e mi è stato vicino nel periodo di difficoltà. Mi ha detto: “Loretta, il talento non va buttato. Gianni sarebbe stato felice di vederti attiva e coinvolta. Fare il giurato è un modo per esserci, senza dover cantare, imitare, recitare. E poi tanti artisti accettano di partecipare al mio show solo se a giudicarli sei tu, con la tua professionalità e la tua esperienza”. A quel punto mi sono rimessa in gioco».
«È vero. Ho cominciato a pensare che Gianni possa essere d’accordo con la decisione che ho preso. Ha visto la qualità e la pulizia del programma».
«La gente mi dice: il venerdì siamo tutti a casa per vedere lo show. È bellissima la funzione di aggregazione della televisione. E tutto questo affetto è la mia vera ricchezza».
«Perché è un programma fatto da professionisti. Qui non si tratta di scoprire talenti, ma di confermare la duttilità di artisti che il talento ce l’hanno ben consolidato. E non è una cosa così facile. È il motivo per cui mi ero disamorata della televisione».
«Negli Anni 90 ho scelto di allontanarmi dalla tv perché sapevo che i talenti a tutto tondo non sarebbero più stati utilizzati per motivi di tempo, di soldi, di mancanza di autori validi. L’unica eccezione è Fiorello, che per dieci anni va in giro con i suoi spettacoli, poi ne prende il meglio e ci costruisce attorno uno show televisivo. E a quel punto non serve la scrittura: quello che propone funziona benissimo così. Ma in Italia è rimasto solo lui. Per quello che mi riguarda, io ho scelto di fare per tanto tempo la moglie, una delle professioni più difficili, per la mia esperienza. E anche la più bella».
«Impossibile: darei 10 a tutti. La simpatia e la spontaneità di Enrico Montesano sono impagabili. Dobbiamo stare attenti perché a microfoni spenti facciamo commenti assurdi. A volte capita che la cantante da imitare sia per lui una sconosciuta e allora chiede: “Ma questa chi è?”. E poi, una volta aperto il microfono: “È una delle mie cantanti preferite!”. Io gli do le dritte sui cantanti, lui me le dà sul cinema, dove è imbattibile. Claudio Amendolara ė "felino": un gatto sornione. Finge di essere lì per caso e invece è sempre lucidissimo e attento a tutto. Carlo Conti è innamorato del lavoro, del pubblico, è felice di quello che la vita gli ha dato e ha una serenità interiore che lo rende impermeabile ai pettegolezzi e alle cattiverie».
«Non vorrei dimenticare nessuno, ma Gigliola Cinquetti ha fatto cose che non mi aspettavo, la Nannini e la Berté erano straordinarie. Mietta mi ha incantato con la Callas e Donna Summer. E Flavio Montrucchio è bravo, brillante e con una grande ironia. Mi hanno colpito le sue imitazioni di Fabio Concato e Jimmy Fontana. E ancora Paolo Conticini: il suo Riccardo Fogli era incredibile con quella smorfia della bocca…».
«Le imitazioni sono tutte con me, ma stanno a lato. Il rischio era quello di diventare imitatrice e basta. Ho il massimo rispetto per chi fa questo mestiere, ma sentivo anche altro dentro di me, come un vulcano che voleva eruttare tutta la sua lava. Per fortuna arrivò “Maledetta primavera”: finalmente tolsi la maschera e uscii dal bozzolo».
«Scherza? Non mi rivedo mai! Non mi piaccio. Il pubblico mi ama? Meglio così, mi fido ciecamente del suo giudizio. Si figuri che ancora oggi quando riascolto il disco di “Maledetta primavera” trovo errori ovunque…».
«Fino a quando c’era mio marito era impossibile seguire qualcosa: era il re dello zapping. Mi faceva vedere anche 5 o 6 film contemporaneamente. Le uniche cose che si potevano seguire erano l’informazione e le partite. Lui era juventino e io romanista, lui gufava con discrezione. Io come spettatrice sono onnivora. Guardo anche cose brutte perché possono dare comunque una lettura del momento storico che stiamo vivendo».
«Lo confesso: i reality. Invece amo i programmi che mostrano il talento. E adesso la stupisco: mi piace piangere. Davanti alla bravura piango, davanti alla bellezza piango. Davanti a mio marito piangevo perché lui era bello davvero!».
«A gennaio esce al cinema “Pazze di me”, il film di Fausto Brizzi nel quale sono la severissima mamma di Francesco Mandelli. In questo periodo ho iniziato a lavorare al musical “Gypsy” con la regia di Stefano Genovese: un lavoro che mi dà brividi e sudore freddo. Quando è così vuol dire che lo devo fare, che è la strada giusta. Così come il mio libro: uscirà il prossimo anno e sarà la storia di una donna».
«Ancora non lo so. Io la trovo così normale. Quando mi capita di rivedere qualche immagine di me agli inizi della carriera, uno scriccioletto con gli occhietti piccoli e le mani lunghe, secca secca, senza arte né parte, con papà impiegato e mamma casalinga, senza tessere di partito né santi in Paradiso e pure timida da morire, mi chiedo come sia possibile essere oggi qui. Ho cominciato a imitare e a recitare per nascondermi dietro ai personaggi e ai ruoli da interpretare».
«Vorrei ritrovare mio marito».
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